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Recensione dell'opera Lucrezia Borgia dal Teatro Verdi di Padova

cristina chiaffoni, 23/09/2013

In breve:
Troppo giovani per Lucrezia! Abbiamo visto la prima recita di "Lucrezia Borgia" andata in scena al Teatro Verdi di Padova il 20 settembre 2013. Un cast interamente costituito da giovani che debuttano nel ruolo e ciò fa onore al direttore artistico Federico Faggion, ma anche proprio per questo sono state rilevate varie mancanze che con l'avanzare dell'età e dell'esperienza saranno indubbiamente colmate, ma per ora il risultato è stato a mio avviso deludente! Manca la statura e la forza scenica del personaggio, lo scavo psicologico ed il volume necessario per affrontare questa splendida partitura donizzettiana in quasi tutti i giovanissimi cantanti.


Il pubblico delle grandi occasioni nello splendido Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Padova, uno dei tantissimi scrigni di arte e cultura che abbelliscono il nostro Paese da difendere con forza e vigore, in verità non foltissimo ma colto ed amante della buona musica ha animato la platea ed i palchi fino a che il maestro Tiziano Severini ha alzato la bacchetta.

La scena a cura di Roberta Volpe è stata saggiamente definita su locandina e libretto di sala "idea scenica" e tale era : esili colonne bianche e rosse su sfondo e quinte nere con pochissimi elementi scenici (dei cespugli di gigli nel preludio e delle cassapanche-sgabelli)  una scena quindi che fa sbalzare fuori ogni singolo gesto, espressione e fa risaltare la capacità attoriale qui purtroppo inesistente ed acerbissima, per cui inadatta.

So benissimo che il momento è molto difficile e le risorse economiche mancano, ma una sedia o un tavolo in più non avrebbero mandato in rovina nessuno! Bellissimi i costumi a cura di Lorena Marin con accenti di rosso ed ocra, zafferano molto ben definiti, ma con qualche mancanza : com'è possibile che Maffio Orsini, figlio di una nobilissima casata romana che ha nel suo albero genealogico più di un papa ed è imparentata con i Medici di Firenze sia vestito come un semplice scudiero? Ed il Duca Alfonso D'Este, munifico e splendido principe del Rinascimento a capo di una tra le più affascinanti città sia vestito come un semplice cortigiano senza alcun segno distintivo del suo lignaggio? E vogliamo parlare di Lucrezia Borgia a testa nuda quando dal Medioevo in poi le donne maritate dovevano uscire a capo coperto e le gran dame non uscivano dalla propria stanza senza almeno una retina di perle o un cerchietto d'oro sulla chioma? 

Mi piace pensare che la regia a cura di Giulio Ciabatti ha avuto a disposizione pochissime prove, perché solo così si spiega il lasciare i giovani interpreti soli ad arrangiarsi in scena con tutte le incongruenze del caso: una per tutte quella di Gennaro che prima del racconto di Orsini nel primo atto dichiara di voler mettersi a dormire per non ascoltare ed invece se ne sta ben sveglio sullo sgabello per poi mettersi diligentemente a dormire prima che arrivi Lucrezia (che impronta tutta la sua grande aria di entrata alla contemplazione del figlio dormiente?). Buone invece le luci disposte da Bruno Ciulli.

La venticinquenne Francesca Dotto ha una bellissima voce, un'emissione già sapiente, morbidezza fluida ed acuti luminosissimi, pianissimi in filato, ma non è Lucrezia. Non ha il peso vocale richiesto alla parte e le manca la grande vis scenica richiesta alla primadonna, non è la leonessa ferita e furente che viene fuori nel finale del Prologo e nel duetto con Don Alfonso quando dapprima prega ma poi scatta in una terribile minaccia (A te bada a te stesso pon mente Don Alfonso mio quarto marito!) sembra insomma una Susanna vestita da signora o una Norina che pesta i piedi. Di sicuro avremo modo di applaudirla in repertori  maggiormente adatti.

Bellissima presenza scenica il tenore Paolo Fanale nelle vesti di Gennaro, la voce è lucente, gli acuti lanciati e baldanzosi a tratti c'è un'emissione nasale, ma non incide sulla buona resa vocale. L'attore è appena accennato, ma ben guidato può essere buono.

Piace il bronzeo colore del mezzosoprano Teresa Iervolino, un Maffio Orsini gradevolissimo e musicale, talvolta gli acuti sono un pò aciduli e sopranili, ma passano in secondo piano rispetto alla bellezza della voce. Anche qui la presenza scenica può migliorare e vista l'età sicuramente ciò accadrà.

Il Don Alfonso di Mirco Palazzi ha la giusta protervia e forza vocale e scenica di chi sa di essere il gran signore di Ferrara. Scuro e possente il suo strumento vocale anche se, forse penalizzato da tempi eccessivamente lenti nella sua Cavatina e Caballetta ha rivelato acuti non sempre a fuoco.

Ottimi i comprimari, come Orfeo Zanetti (che comunque in altri contesti è cantante di prime parti), Massimiliano Catellani e Matteo Mezzaro: davvero bravi.

Gli altri comunque degni di nota e rispondono al nome di Vittorio Zambon, William Corrò, Gabriele Nani, Andrea Zaupa.

Il Coro Città di Padova diretto dall'ottimo Maestro Dino Zambello ha lasciato la sua impronta di alta professionalità ed eleganza che lo contraddistingue. Buona resa nel coro maschile nell'intervento non facile del secondo atto nella scena prima.

L'orchestra di Padova e del Veneto mi piace pensare che non fosse in forma, tutto suonato forte con vistose defaillances nei fiati (ahi quei corni nel Preludio breve ma intenso!) strano in una orchestra che conosciamo raffinata ed elegante.

Il direttore d'orchestra Tiziano Severini non ha curato il complesso fraseggio del capolavoro del genio bergamasco, non ha saputo ricreare quell'atmosfera torbida ed ambigua, ricca di chiaroschiuri che scolpisce e definisce i personaggi complessi dell'epoca e della vicenda, staccando tempi lentissimi per poi precipitare tutto in un affrettando caotico.

Lodevolissima l'intenzione di dare ai giovani l'occasione di debuttare in un teatro storico al posto del solito cast di carissimi e famosi, ma forse era meglio decidere un'altra opera. 

 

 

 

 

 

 

  

 

 
 
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