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Recensione opera lirica Guglielmo Tell di Gioachino Rossini al Teatro Regio di Torino

William Fratti, 22/05/2014

In breve:
Torino - Recensione dell'opera lirica Guglielmo Tell di Gioachino Rossini in scena al Teatro Regio di Torino l'11 maggio 2014.


Come già scritto in moltissime occasioni, il Rossini Opera Festival di Pesaro non ha eguali e se ne ammirano le rarità delle esecuzioni, l'attenzione alle scoperte, alle edizioni critiche, alle diverse versioni con cui certi titoli sono stati storicamente proposti, al rispetto dell'intenzione del compositore, alla qualità medio alta, talvolta altissima, degli artisti ed interpreti coinvolti.

Gioachino Rossini è stato il vero precursore del melodramma dell'Ottocento e del Novecento, il padre della musica d'avant-garde, soprattutto nel repertorio serio e drammatico ed è ingiustamente troppo poco rappresentato. Guglielmo Tell, il suo ultimo capolavoro teatrale, contiene pagine che sono state inarrivabili per molti decenni, almeno fino alla seconda meta del XIX secolo e tagliarne anche solo una virgola è da considerarsi peccato capitale.

Lo spettacolo andato in scena al Teatro Regio è stato proposto lo scorso agosto a Pesaro in versione integrale, nell'originale francese, mentre a Torino è stato eseguito nella traduzione ritmica italiana di Calisto Bassi ripristinata da Paolo Cattelan, ma brutalmente sforbiciata, facendo scomparire i da capo delle cabalette di duetti e terzetti, della seconda aria di Matilde, la prima parte della scena dell'arrivo dei ribelli di svizzeri e l'aria di Jemmy.

Trattandosi di un'opera così bella, ma così ingiustamente poco rappresentata – e molti spettatori non avranno neppure l'occasione di rivederla – sarebbe stato più opportuno proporre tutta la partitura. Tagliare parti di Guglielmo Tell, anche se talvolta si tratta di ripetizioni, equivale ad amputare arti o prelevare un rene e parte del fegato ad un gigante per rimpicciolirlo un poco.

Detto ciò, dell'allestimento di Graham Vick, qui ripreso da Lorenzo Nencini, se ne è già parlato lo scorso agosto, sottolineandone pregi e difetti; ma nel rivederlo a distanza di mesi, molti tratti precedentemente oscuri ora lasciano spazio a maggiori squarci di comprensione.

Non è piacevole andare a teatro col libretto delle istruzioni, le regie dovrebbero essere immediate e questo spettacolo è invece particolarmente complesso, ma avendo voglia di ragionare un poco, si può perlomeno intendere il forte messaggio contro ogni tipo di oppressione, che vede il suo apice nelle danze di terzo atto, ideate da Ron Howell e riprese da Ilaria Landi.

Così, invece di contestare, il pubblico più inorridito avrebbe potuto pensare che tali umiliazioni personali e sessuali sono purtroppo ancora la cruda verità di molti regimi. Andare a teatro deve essere un'attività piacevole, ma anche intelligente, altrimenti tanto vale restare inebetiti davanti alla TV spazzatura.

Sul fronte musicale Gianandrea Noseda – già colpevole delle amputazioni – fa un buon lavoro di concertazione e conduce la bravissima Orchestra del Teatro Regio lungo la partitura rossiniana con ottima disinvoltura. Fiati e percussioni, fin dal secondo movimento della sinfonia, sono davvero eccellenti. In certe pagine il maestro è sinceramente toccante ed emozionante, anche se forse dirige più alla maniera verdiano popolare che non con maggior stile rossiniano.

Dalibor Jenis è un protagonista convincente, anche se vocalmente non completamente ferrato in questo ruolo. Innanzitutto sarebbe preferibile un timbro più scuro con più facilità di discesa alle note gravi, in cui spesso si trova in difficoltà. Nei passaggi più centrali o medio acuti certe note hanno una bella limpidezza, ma per il resto risulta abbastanza opaco, povero di fraseggio e poco appassionante. La celebre aria di terzo atto è eseguita correttamente, ma appaiono migliori i recitativi precedenti.

Angela Meade, astro nascente dello Stato di Washington, già protagonista sui più importanti palcoscenici di tutto il mondo, ha una bellissima voce, delicata ma piena e certamente musicalissima. Durante l'aria di sortita di Matilde dimostra di possedere buona tecnica, soprattutto sui fiati, con filati raffinatissimi e intonazione impeccabile, per cui le si può perdonare qualche piccola imprecisione. Col procedere dell'opera si nota sempre di più l'importanza delle sue corde, la rotondità dei suoni e la sua capacità di mantenersi leggera lungo tutta la partitura.

John Osborne è un eccellente Arnoldo ed è un vero peccato che la sua parte sia quella maggiormente tagliata: sopravvive il da capo della cabaletta dell'aria di quarto atto, ma quelle di duetti e terzetti scompaiono miserabilmente, non permettendo al pubblico di godere appieno della sua bella voce, né di misurare la sua resistenza nella lunga parte. Il tenore esibisce acuti limpidissimi, mezze voci finissime, un canto elegantissimo e una morbidezza, soprattutto nel passaggio, davvero encomiabile.

Anna Maria Chiuri è una bravissima Edwige , musicalissima e ben omogenea, affiancata da Marina Bucciarelli nel ruolo di Jemmy, eseguito con giudizio, con ottima capacità di salita all'acuto nei numerosi concertati, la cui unica colpa è quella di avere una voce ancora piccola, non sufficiente per quel gigante che è il grand-opéra rossiniano.

Mikeldi Atxalandabaso è un azzeccatissimo pescatore, corretto e aggraziato, anche se non eccelso e strabiliante; Fabrizio Beggi è un Melcthal riuscitissimo, dotato di vocalità scura e fare autoritario; efficace Ryan Milstead nei panni de Leutoldo; sufficiente il Rodolfo di Luca Casalin; adeguato il cacciatore di Giuseppe Capoferri.

Sapientemente eseguito è il ruolo di Gualtiero, in cui Mirco Palazzi esprime una bella vocalità cantabile,anche se il personaggio appare un po' troppo moderato. Musicalissimo è il Gesler di Luca Tittoto, scenicamente autorevole, addirittura fastidiosamente viscido, come si conviene al suo personaggio e alle azioni che compie, con una linea di canto ben omogenea.

Eccellente la prova del Coro del Teatro Regio diretto da Claudio Fenoglio.

 
 
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