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Recensione opera Il Campiello di Wolf Ferrari al Maggio Musicale Fiorentino

William Fratti, 15/10/2014

In breve:
Firenze - Recensione dell'opera lirica "Il Campiello" di Wolf Ferrari, su libretto di Carlo Goldoni, in scena il 30 settembre 2014 al Maggio Musicale Fiorentino


Ermanno Wolf-Ferrari è purtroppo l'ennesimo compositore d'opera bistrattato dai teatri italiani e la sua musica sopravvive in poche e rare rappresentazioni, talvolta messe in scena da qualche palcoscenico un poco lungimirante, come è fortunatamente accaduto all'apertura di stagione all'Opera di Firenze.

Ogni volta che si ascolta Il campiello ci si rende conto dell'abilità compositiva di Wolf-Ferrari, che sapeva guardare al futuro attingendo dal passato, recente e lontano, creando pagine oggettivamente belle, soggettivamente toccanti, ma soprattutto in grado di raggiungere ogni tipo di pubblico e non solo – per dirla alla Goldoni – quello “caricato”.

Francesco Ciluffo sa muoversi sulla partitura de Il campiello con estrema disinvoltura, creando un unicum molto ben amalgamato tra buca e palcoscenico, morbido e ben omogeneo nel passare dai momenti dolci a quelli comici e infine drammatici. L'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino lo segue con perizia, prodigandosi in un suono limpido e pulito anche nei punti più difficili, soprattutto per i fiati, fatta eccezione per un paio di piccole scivolate nei primi minuti dell'esecuzione.

Leo Muscato crea uno spettacolo – senza pause, grazie a cui evita di perdere il tocco emotivo della commedia – con la sua consueta abilità di vero regista – uno tra i pochi che possono seriamente e onestamente avvalersi di questo sostantivo per identificare la loro professione – fedele certamente a un libretto che già di per sé contiene una miriade di note di regia, ma in grado di condurre mimie solisti verso una recitazione davvero efficacie, fatta di azioni, di gesti, di sguardi, di scene primarie, secondarie e controscene, dove tutto è sempre in movimento, non ci si annoia, ma al contempo non si perde neppure l'attenzione e non ci si distrae dalla vicenda principale.

Le magnifiche e realissime scene di Tiziano Santi portano lo spettatore all'interno di un vero e proprio campiello veneziano, che cambia parte del suo aspetto col passare dei secoli, da Goldoni, a Wolf-Ferrari, fino ai giorni nostri, senza comunque smarrire la sua identità originaria, dettata non solo dal luogo – Venezia è eterna – ma soprattutto dai suoi abitanti, che nel 1756 gettano l'immondizia in strada per poi spazzarla, ma nel 2014 abbandonano sacchi neri negli angoli; nei secoli scorsi dividevano la tavola, oggi si scattano un selfie.

In questa commedia senza tempo – osservata da lontano dallo spirito dello stesso Goldoni – anche i costumi di Silvia Aymonino sono veramente azzeccati, in grado di diversificare in maniera puntuale i vari personaggi anche nei passaggi epocali. Un poco meno opportune le luci di Alessandro Verazzi, che non sono suggestive né propriamente realistiche, ma più teatrali, discostandosi da uno spettacolo che però vuole essere una fotografia del vero che attraversa i secoli.

Riguardo i cantanti solisti è doveroso segnalare che tutti quanti sono accomunati da certi pregi nella recitazione, efficacissima, ben caratterizzata ma moderata, mai eccessiva o snaturata, anche nel caso di Gasparina, Donna Cate e Donna Pasqua, che talvolta rischiano di cadere in inopportune caricature. Il distinguo deve essere invece fatto sul fronte vocale.

Alessandra Marianelli è dotata di bella voce morbida nella zona centrale ed ottiene un buon risultato con la celebre aria di GasparinaBuondì, Venezia cara” ma le lacune nella zona acuta e la pronuncia dialettale un poco sommaria, non ne fanno certo una protagonista insostituibile.

Purtroppo anche la Lucieta di Diana Mian mostra problemi nelle note alte e talvolta anche nell'intonazione, pur sapendosi prodigare in un bel fraseggio.

Dolce, delicata e con una linea di canto accettabile è la Gnese di Barbara Bargnesi, che esegue i consueti filati e i pianissimi con un buon controllo, ma non è sempre precisa, né fa un buon uso degli armonici, nascondendosi sotto certi passaggi orchestrali, e ciò è un peccato poiché ha i numeri per superare questi scogli.

Molto buona è invece la prova di Clemente Antonio Daliotti nei panni di Astolfi, che presenta una voce ben timbrata, luminosa e brillante.

Alessandro Scotto di Luzio è un limpidissimo Zorzeto, omogeneo nel passaggio e ben impostato in avanti. Sarebbe interessante riudirlo nel repertorio belliniano, poiché sembra possedere un buon senso della melodia.

Cristiano Olivieri veste i panni della vecchia Donna Cate e sarebbe stata una buona interpretazione se non fosse stato per le urla stridule cacciate in “Sior strambazzo”.

Efficaci, corretti e vocalmente adeguati Luca Canonici e Patrizia Orciani nei panni di Donna Pasqua e Orsola.

Sufficienti le prove di Filippo Morace e Luca Dall'Amico nei ruoli di Anzoleto e Fabrizio.

Buona la prova del piccolo Coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini.

 
 
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