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Recensione dell'opera lirica Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti al Teatro Carlo Felice di Genova

William Fratti, 09/03/2015

In breve:
Genova - Recensione dell'opera lirica "Lucia di Lammermoor" di Gaetano Donizetti in scena al Teatro Carlo Felice di Genova il 1 marzo 2015.


Il Teatro Carlo Felice di Genova invita il celebre regista Dario Argento a cimentarsi con il melodramma per la sua prima volta. Chi si aspettava, da questa Lucia di Lammermoor, uno spettacolo splatter o spaventoso è indubbiamente rimasto deluso. Solo per qualche secondo fanno la loro comparsa un coltello e un assassinio alla maniera di Profondo rosso quando Lucia uccide Arturo (siparietto inelegante e bruttino, che avrebbe potuto essere reso diversamente); appare anche l'ombra della fonte (la brava Fabiola Di Blasi), nuda e con i capelli lunghi, scuri e bagnati, appiccicati sul volto, come in alcune scene di Inferno, Tenebre e Phenomena; la protagonista, durante la scena della pazzia, è completamente imbrattata del sangue del neo sposo appena accoltellato. E tutto si ferma qui; sono gli unici momenti in cui succede qualcosa, i soli istanti in cui c'è la regia, mentre il resto è piatto e noioso.

Il coro è sempre fermo e spesso in disordine; controscene non ce ne sono, tranne appunto l'ombra della fonte; i protagonisti sono fissi in scena, a parte la sola Lucia durante “Il dolce suono”. Sembra lo spettacolo di un giovane apprendista alla prima esperienza. Addirittura durante il matrimonio, quando tutti attendono l'ingresso della sposa, pur avendo a disposizione la grande scalinata del palazzo che presumibilmente conduce alle camere, ella entra dal lato come se fosse la portinaia. Concludendo, il lavoro di regia di Argento delude molto: senza scendere nell'ambito soggettivo di bello o brutto, si può obiettivamente affermare che è stato fatto con poca accuratezza.

Migliore è la realizzazione delle scene di Enrico Musenich, soprattutto la prima del bosco e l'ultima del cimitero, mentre l'interno del palazzo degli Ashton, pur avendo dei criteri di architettura interessanti, ha dei colori che riconducono molto alla cartapesta e lo rendono poco realistico. Sarebbe inoltre stato interessante il telo dipinto della casa dei Ravenswood se fosse stato immobilizzato con dei tiranti invece di protendersi verso il proscenio a causa della corrente d'aria; infine la lampada elettrica nella stessa scena, è alquanto fuori tempo e fuori luogo: che nessuno si sia accorto di questo errore è davvero… illuminante!

Ben confezionati sono i costumi di Gianluca Falaschi anche se l'aver vestito gli uomini con abiti ottocenteschi e le donne nello stile del primo rinascimento alla maniera preraffaellita ha ben poco senso e certamente non aiuta lo spettatore a entrare emotivamente nella vicenda.

Adeguate le luci di Luciano Novelli.

Il sollievo dalla noia lo si deve soprattutto a Giampaolo Bisanti che, nonostante la staticità di ciò che avviene in palcoscenico, compie un buon lavoro di amalgama tra orchestra, cantanti e platea, ma a questo punto avrebbe potuto sortire il medesimo buon risultato anche in forma di concerto. Il suo carattere distintivo è indubbiamente il dialogo con gli interpreti, che sono sempre supportati, mai sovrastati col suono, seguiti nel loro fraseggiare a favore di una più ampia resa passionale e sentimentale. Eccellente il difficile finale secondo. Orchestra e coro non sono precisi in ogni momento, ma i segni del bravo direttore non sembrano affatto colpevoli, anzi, in certi passaggi sono serviti a rientrare sui giusti binari.

Desirée Ranatore, oggi riconosciuta come un delle migliori interpreti di questo ruolo da tutto il panorama lirico internazionale, accetta comunque di cantare nonostante colpita da un violento virus influenzale. Chi la conosce di persona la vede palesemente indisposta. Chi ricorda la meraviglia di altre sue esecuzioni di Lucia, sente la differenza , poiché dai numeri uno ci si aspetta sempre il meglio. Ma Rancatore deve essere ringraziata per non avere rinunciato, per non avere abbandonato il suo pubblico, per aver cantato con una tecnica talmente salda e ferrea da potersi considerare inferiore solo a se stessa, quando è in perfetta salute. Questo è il vero modo di cantare, di saper adoperare il proprio strumento. Meritatissime le ovazioni a lei tributate dopo la scena della pazzia e al termine dello spettacolo.

Lo stesso non vale per Gianluca Terranova, che sfoggia una delle più belle voci tenorili dell'ultimo ventennio – splendente nel timbro, vellutata nel colore – ma con un livello tecnico ridotto al minimo indispensabile. E ciò fa parecchia rabbia, poiché potrebbe davvero essere qualcuno e lasciare un segno nella storia della lirica, ma se continua così rischia di esaurirsi presto, proprio come la bellezza perlacea di un viso giovane sfiorisce col passare degli anni. Il suo Edgardo è particolarmente piacevole ad un ascolto approssimativo, soprattutto perché è onesto e generoso, ma se si porta attenzione si sente chiaramente dove arriva la natura e dove manca la tecnica.

Stefano Antonucci, come già detto in altre occasioni, è un cantante corretto e la sua linea di canto si trova particolarmente agiata nella zona acuta, grazie a cui riscuote sempre un grande successo, ma nelle note basse è molto affaticato e risultano pasticciate o parlate. Il colore del suo Enrico è abbastanza piacevole, ma in certi momenti risulta opaco, i fiati sembrano corti e pare perdere di elasticità.

Giovanni Battista Parodi veste i panni di Raimondo in tutte le recite, anche in sostituzione di Orlin Anastassov. La sua naturale presenza scenica, ma soprattutto il saper portare nelle proprie interpretazioni gli insegnamenti avuti dai grandi registi con cui ha lavorato, fa dei suoi personaggi eleganti e autoritari un segno distintivo. Complice anche una vocalità particolarmente adatta ai ruoli del belcanto romantico, dove occorrono una tecnica salda, un'estensione reale e non celata dietro falsi compromessi, nonché una certa duttilità, il tutto arricchito da un fraseggio espressivo.

Enrico Cossutta è un Normanno efficace, un po' nascosto dal coro nelle pagine d'assieme.

Adeguato è l'Arturo di Alessandro Fantoni.

Abbastanza anonima è l'Alisa di Marina Ogii.

Sufficiente la prova del Coro del Teatro Carlo Felice diretto da Pablo Assante.

Scroscianti applausi per tutti al termine dello spettacolo, soprattutto per la stella Rancatore, visibilmente commossa nel ricevere tanto meritato successo.

 
 
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