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Recensione opera Die Zauberfloete di W. A. Mozart al Teatro Comunale di Bologna

William Fratti, 25/05/2015

In breve:
Bologna - Recensione dell'opera lirica Die Zauberfloete di Wolfgang Amadeus Mozart in scena al Teatro Comunale di Bologna il 21 maggio 2015.


In occasione di questo Flauto la sala del Bibiena registra il tutto esaurito in ogni recita e l'esecuzione del capolavoro mozartiano risponde in parte alle alte aspettative, in primis la lettura musicale dell'eccellente bacchetta di Michele Mariotti, che si dimostra essere – ancora una volta – sapiente “disegnatore e pittore” di colori e cromatismi, intrisi di sfumature e venature che rendono il suo belcanto – da Mozart al primo Verdi, passando soprattutto attraverso l'irrinunciabile Rossini – particolarmente chiaro e nitido nelle caratteristiche che lo compongono, senza mai rischiare di prevaricarne lo stile, ma in grado di accentuarne il gusto.

La bravissima e precisissima Orchestra del Teatro Comunale di Bologna lo segue in maniera attenta e accurata. Prova più che positiva anche per il Coro guidato da Andrea Faidutti, purtroppo parecchio castrato dal lavoro di regia, che in alcuni momenti lo costringe sulle porte del golfo mistico, in altri lo dispiega in platea addirittura dividendone le sezioni, col risultato di udire il canto dei singoli e non del gruppo.

Paolo Fanale, che riprende il ruolo di Tamino per la prima volta dopo il debutto di Oslo avvenuto qualche anno fa, si esibisce nella sua naturale morbidezza, dimostrando ancora una volta di essere esemplare interprete mozartiano, sempre attento alla purezza e all'omogeneità dei suoni, abile fraseggiatore e cesellatore di colori, con una linea di canto sempre uniforme.

Maria Grazia Schiavo si riconferma una Pamina delicata, ben centrata nella parte, bravissima nel duetto con Papageno e particolarmente attenta ai passaggi ingrati di “Ach, ich fühl's” anche alcuni acuti sono leggermente aciduli.

Nicola Ulivieri si riafferma quale interprete di riferimento del canto mozartiano e nel suo Papageno si individua un'eleganza che ha pochi pari.

Eccellente, sotto ogni punto di vista, è il Sarastro di Mika Kares, che insiste nella zona grave del pentagramma con invidiabile musicalità, ottenendo risultati raffinatissimi in termini vocali e interpretativi, con autorità nobile anche nell'accento.

L'anello leggermente debole di questa preziosa catena di protagonisti è la Regina della Notte di Christina Poulitsi – nonostante riceva il più grande successo personale con copiosi applausi e acclamazioni – che produce dei bellissimi suoni sovracuti, ma difetta ampiamente d'accento drammatico e di legato nelle pagine più patetiche. Il materiale che possiede è ottimo, ma deve assolutamente essere perfezionato tecnicamente.

Efficacissima la prova di Andrea Patucelli quale Oratore, come pure Gianluca Floris quale Monostatos e Anna Corvino quale Papagena.

Si distinguono positivamente anche le tre dame di Diletta Rizzo Marin, Diana Mian e Bettina Ranch, nonché i tre fanciulli di Marco Conti, Pietro Bolognini e Susanna Boninsegni, anche se vanno registrate un po' di stonature da parte di entrambi i gruppi. Concludono il lungo cast gli efficaci Simone Casolari, Cristiano Olivieri, Luca Gallo.

Accanto all'entusiastica riuscita della parte musicale e vocale, risiede il desolante e inesorabile vuoto della parte visiva dello spettacolo, di cui si nota chiaramente solo il grande impegno profuso dalla squadra di lavoro (composta principalmente da Luigi De Angelis, Nicola Fagnani e Chiara Lagani), ma il risultato è pressoché da oratorio e lo si potrebbe valutare con la frase: “vorrei ma non posso”.

Tutti gli accenni e i richiami al Reame del Didietro di Wolfgang e della sorella, al cinema di Ingmar Bergman e al teatro barocco del castello di Drottningholm possono essere colti solo leggendo le note di regia o assistendo alla presentazione dell'opera. Ma non si dovrebbe andare a teatro con le istruzioni, poiché chi non conosce la vita di Mozart bambino, l'arte di Bergman o chi non ha mai visitato la residenza della famiglia reale svedese non può conoscere questi riferimenti.

L'esperimento dei video tridimensionali è equiparabile al cinema della parrocchia. La gestualità dei cantanti è lasciata a se stessa. L'uso delle masse non è nemmeno valutabile. Le luci scure e cupe non danno quasi mai un effetto suggestivo. I costumi sono abiti che provengono evidentemente dal mercato o dai grandi magazzini, poi dipinti. È invece apparso parzialmente positivo l'uso dei diaframmi: molto probabilmente si sarebbe ottenuto un miglior risultato se si fosse focalizzata l'attenzione su questi, incrementandoli ulteriormente per evitare il vuoto e dare maggiore significato alle scene nella vicenda, accantonando il 3D e la visione della sala del teatro come la sala del palazzo di Sarastro.

 
 
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