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Recensione opera Otello di Gioachino Rossini al Teatro Alla Scala di Milano

William Fratti, 10/07/2015

In breve:
Milano - Recensione dell'opera Otello di Gioachino Rossini in scena al Teatro Alla Scala di Milano l'8 luglio 2015.


È una vera sorpresa, a pochi anni da La donna del lago, trovare un altro titolo del Rossini serio al Teatro alla Scala, il grande assente assieme al resto del belcanto italiano con Bellini e Donizetti; chissà poi perché si preferisca fare cultura con sconosciuti titoli d'oltralpe eludendo completamente una grossa parte del melodramma italiano, quando si potrebbe fare sia l'uno che l'altro.

La locandina sulla carta è delle migliori, ma le luminose attese presentano purtroppo molte ombre a partire dallo spettacolo di Jürgen Flimm che dice proprio nulla.

I soli momenti in cui cerca di dare vita a delle idee personalissime, scendono decisamente nel ridicolo: tra questi le due cortigiane che amoreggiano con Jago e Rodrigo; Emilia che cerca di istruire Desdemona al corano o alla lingua araba; Elmiro che porta due piante fiorite in vaso e rinsecchite a simbolo dell'unione tra Desdemona e Rodrigo; altre due cortigiane che spargono il veleno di Jago come fosse verderame sul ring di battaglia di Otello e Rodrigo.

Insomma, inutilità infantili a riempire un allestimento vuoto, da un'idea di Anselm Kiefer, che si sarebbe potuto usare in un teatro di provincia nel momento in cui si fosse trovato senza denaro per poter produrre l'opera. Tre tende, tre tavoli di rumoroso metallo, qualche decina di sedie da giardino e un po' di sabbia sono tutto ciò che c'è in scena per tre ore. E per riempire un po' il vuoto cosmico arriva la grande novità del catafalco di Desdemona a simboleggiare la sua morte imminente, su di una gondola, al tempo dell'arietta del gondoliere.

Al centro diurno dell'oratorio avrebbero saputo fare di meglio.

Di buona fattura sono i costumi di Ursula Kudrna, pur senza novità, poiché numerose sartorie avrebbero potuto procurarne di simili a noleggio. Abbastanza centrate, nella loro semplicità, le luci di Sebastian Alphons.

Con tale premessa, qualunque colpa interpretativa non può essere imputata ai solisti, che hanno certamente dovuto sopperire alle mancanze del regista con le loro esperienze personali.

Lo zero assoluto della scena è equiparato al nulla del podio, occupato da Muhai Tang che sbaglia nei tempi, nei pesi e nelle misure.

Riguardo ai tempi non è chiaro se la noiosa lentezza di alcune parti sia causata dal volere del direttore o di alcuni cantanti, in ogni caso il risultato è vergognoso, poiché se la musica diventa una lagna inesorabile, cantanti agili come Florez e Peretyatko si trovano a dover prendere fiati lunghissimi oppure costretti a spezzare frasi troppo lunghe per cercare aria.

Riguardo ai pesi, dove i piani sono troppo piani e i forti sono troppo forti, presumibilmente Tang si è trovato a dovere fare i conti con un'orchestra decisamente al di sopra delle sue possibilità: sembra un adolescente neopatentato seduto sul sedile di una Ferrari, col risultato di sembrare scollato, privo di colori e sfumature, leggendo una mastodontica partitura che di intenzione rossiniana ha ben poco. Infine pure le misure sono assenti, i cantanti sono costretti a prendere gli attacchi dal suggeritore e gli strumentisti suonano da soli, perché altro non possono fare. Un grande plauso al corno, al flauto, all'oboe e all'arpa.

Gregory Kunde, che negli ultimi anni ha trovato una seconda primavera con ruoli spinti, nel tornare a Rossini compie un passo decisamente falso. Le note ci sono, ma slegate; l'elasticità e la duttilità mancano e le agilità sono quasi imbarazzanti. Sarebbe stato meglio rendersene conto per tempo, rinunciare alla parte e tenere le glorie meritatissime dell'Otello verdiano, di Enea e di Vasco De Gama.

Olga Peretyatko, cantante vittima di lodi eccedenti da una parte della critica, eccessivamente controbilanciate da disapprovazioni che certamente non merita, è un'eccellente interprete rossiniana e questo dovrebbe bastare. Il fatto che la voce non sia particolarmente stentorea e i sovracuti siano punte di spillo non dovrebbe essere un problema, poiché la raffinatezza, la precisione, la pulizia del suono, lo stile del pesarese, la bravura nelle agilità sono tutte caratteristiche che non le mancano. Il canto della sua Desdemona è elegantissimo in primo atto, tecnicamente accurato in secondo, angelico e soave in terzo.

La accompagna il superbo Rodrigo di Juan Diego Florez, superlativo sotto ogni punto di vista, a partire dalla morbidezza e dall'omogeneità della linea di canto, presentata con grande classe e forma perfetta, eccellendo nel fraseggio. La piattezza della direzione non gli permette di sciorinare i consueti cromatismi, ma è poca cosa nei confronti di una prova comunque eccelsa.

Edgardo Rocha è un bravo cantante e il suo Rossini funziona, anche se andrebbe riascoltato in una parte più importante per comprenderne meglio lo stile: un conto è cantarlo da tradizione, un altro conto è cantarlo secondo l'intenzione pesarese. In ogni caso il suo Jago, seppur ben impostato, sembra aver poco spessore drammatico.

Roberto Tagliavini veste i panni di un Elmiro raffinatissimo, dal fraseggio espressivo, dotato di bei colori.

Lo stesso vale per l'elegante Annalisa Stroppa nel ruolo di Emilia, che mostra una vocalità rotonda e ben omogenea.

Efficace il tremolante Doge di Nicola Pamio e l'evanescente Gondoliere di Sehoon Moon.

Come sempre bravissimo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni.

 
 
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