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Recensione Orphée et Eurydice di Gluck

Gian Paolo Grattarola, 22/01/2008

In breve:

Dietro il canto e l'incanto, irreversibile è la morte
Nuovi spunti di riflessione sul mito eterno di Orfeo ed Euridice suggeriti dal recente allestimento de l'Orphée et Eurydice di Gluck realizzato dai fratelli Alagna.


Dal lontano giorno in cui una mente ignota infuse vita ai personaggi di Orfeo ed Euridice soffiandovi dentro il proprio respiro, la loro tragica vicenda ha attraversato il tempo, riempiendo di sé le pagine e gli spettacoli di ogni epoca e di ogni luogo.
Terreno irrinunciabile di innumerevoli frequentazioni artistiche e letterarie, questa favola senza tempo ha trovato la sua fonte di immortalità nel corso del secoli, attraverso puntuali rivisitazioni e preziose versioni, evocando ad ogni rinnovato impatto l'indomabile richiamo di una forte seduzione nell'animo umano.

Orfeo, figlio del re di Tracia Eagro e della Musa Calliope, dalla quale ricevette in dono l'arte della poesia, fu anche musicista e cantore.
Grazie all'impiego virtuosistico della lira donatagli da Apollo e alle capacità canore conferitegli dalle Muse, egli ammansì le belve, ed incantò le quinte naturali, fino al giorno in cui il paesaggio venne completamente devastato dalle forze avverse del destino.
Allorché la moglie Euridice morì in seguito al morso velenoso di un aspide, egli non si piegò al corso degli eventi, ma cercò con impavido coraggio di recuperare il bandolo disperso dal crudele operato delle Moire, nella speranza di poterlo riavvolgere fino al punto esatto in cui era uscito dall'ambito terreno. Facendo leva sulla straniante dolcezza del suo canto, ammansì il piglio burbero e scostante di Caronte e si fece traghettare oltre il Tartaro, riuscendo ad espugnare il cuore di Ade che pareva forgiato nell'acciaio.
Il suo sentimento di amore puro, dispiegato attraverso tutta la gamma delle sue potenzialità vocali ed accompagnato dalla melodia struggente della lira, si alzò come un refolo di aria fresca sulla distesa ineffabile dei campi Elisi, capace di squarciare per una volta, come d'incanto, il velo cupo che avvolge le tenebre ultraterrene.
Lunghi momenti in cui il tempo parve arrestarsi, le pene placarsi e le anime fissarsi nella contemplazione stupefatta di un sogno di felicità.
Resistergli fu tormentoso perfino per colui che regge con ciglio superbo il regno degli Inferi, la voce penetrò fin dentro le sue viscere, dritta come una lama affilata, rendendolo inaspettatamente vulnerabile dinanzi alla richiesta di Orfeo.
La restituzione della giovane defunta, nondimeno, fu condizionata al pesante fardello di un vincolo che obbligava l'eroe di Tracia a guidare l'ignara sposa nella lunga risalita, privandola e dell'ausilio di una parola e del conforto di uno sguardo.

Una melodia né triste né allegra si distese in un clima di sospensione temporale e di febbrile attesa, fino al momento fatale in cui l'incauto sopravvento del desiderio lo privò definitivamente dell'agognato ricongiungimento.
Il finale della storia non lascia dubbi sulla profondità della ferita che da allora si è aperta nell'animo del poeta e del musicista.
Niente sarà più come prima, i suoi versi e la sua musica, come un tabarro d'angosce serpeggianti, prenderanno a vorticare tenebrosamente suscitando lo sdegno indignato delle Menadi sfrenate, che facendo scempio della testa mozzata di Orfeo relegarono per sempre il canto e la poesia tra le pieghe anguste della malinconica solitudine.
Fin qui il mito.

Le versioni di Virgilio e di Ovidio costituirono poi le prime fonti di approvvigionamento a cui attinse successivamente la fabula volgare, inaugurata da Poliziano e sviluppata soprattutto in ambito musicale da Monteverdi, Gluck, Offenbach e Stravinskij.

Proprio alla trascrizione operata nel 1774 da Gluck, quell'Orphée et Eurydice che prevedeva tra l'altro un lieto fine, si sono ispirati in maniera eccessivamente libera David e Frederico Alagna, realizzando un nuovo allestimento che è in corso di rappresentazione al Teatro Comunale di Bologna.
Le trasposizioni in epoca moderna di un'opera antica non sono esecrabili in assoluto, tanto più che forse, a detta di chi opera quel genere di sperimentazioni, obbediscono alla necessità di rendere più vicina alla sensibilità odierna una vicenda lontana nel tempo.
Purché tuttavia la dissonanza non si trasformi in stridore o, come in questo caso, in aperta dissacrazione di una composizione classica.
Lo spettacolo, realizzato dal Teatro Comunale di Bologna in coproduzione con l'Opera National de Montpellier, è funestata da un approccio irriverente e dissacrante, in cui la drammaturgia corrode l'atmosfera atemporale del mito in maniera irriverente e provocatoria.

Facendo leva su di una rappresentazione di forte impatto emotivo, regista e scenografo stravolgono radicalmente la scrittura di Gluck, ricorrendo con reiterata ossessione ai toni più crudi ed efferati. Emblematica risulta la ricostruzione del mondo degli inferi, in cui un'orrida esposizione di penzolanti cadaveri allineati evoca il cupo scenario gotico di un macabro obitorio.
Serena Gamberoni si confronta svagatamene con una versione improbabile di Eurydice, che dismette la grazia sensuale di una creatura impalpabile, assorta in un sogno d'amore e di fedeltà, divenendo una Menade sfrontata ed impenitente. Morta a causa di un tragico incidente d'auto proprio nel giorno della celebrazione delle sue nozze, tradisce il suo compagno lasciandosi deflorare da Ade, reggendosi alla portiera del carro funebre.
Roberto Alagna, sacrificato in un ruolo scritto tradizionalmente per un controtenore, è un Orfeo impacciato e spaesato che canta in giacca e cravatta , bravo ma poco incisivo. L'orchestra, diretta dal giovane maestro Giampaolo Bisanti, si frantuma già ai primi movimenti, rivelandosi priva di solidità e di temperamento.
Il finale, a sorpresa, si chiude in chiave tragica con Amore che cede il tradizionale afflato angelico del soprano alla vibrante tonalità baritonale della Morte scatenando nel pubblico inorridito fischi e cenni di evidente disapprovazione, dimostrando una volta di più che la musica non ha bisogno di questi artifici per toccare il cuore della gente.

Forse l'unico merito di questo nuovo allestimento risiede nel fatto di offrire, ancora una volta, l'opportunità di riflettere sulla solitudine con cui il poeta canta, ama, lotta e muore. Da solo discende nel mondo degli inferi e da solo ne risale, pagando un pesante tributo alle sue prerogative prive di attinenza con l'attuale contesto sociale.

 
 
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