Considerato uno dei direttori wagneriani più raffinati dei nostri tempi,
Asher Fisch non ha disatteso le forti aspettative del pubblico 
torinese. L'accento drammatico con cui ha intriso la partitura di Carmen, 
anche nel mezzo degli elementi più folcloristici, ha decisamente colpito nel 
segno, risultando intenso, vibrante e particolarmente emozionante. 
 Gli archi con cui ha aperto l'opera sono stati un chiaro biglietto da 
visita. I suoni puliti, mai sovrastanti, la scelta dei tempi e dei volumi, 
sapientemente usati per intensificare l'accento, hanno davvero entusiasmato 
tutto il pubblico. 
Purtroppo lo stesso non vale per lo spettacolo proveniente da Zurigo firmato 
da Matthias Hartmann e da una lunga squadra di collaboratori -
Volker Hintermeier alle scene, Su Bühler ai 
costumi, Martin Gebhardt alle luci - che si sono prodigati nel 
mettere in scena il nulla.  
L'impianto scenografico è composto da una desolante pedana circolare in 
declivio e da pochissimi altri elementi, allestimento che avrebbe potuto sortire 
qualche effetto in una piazza di provincia durante una rappresentazione 
all'aperto. I costumi vintage sono pure tristi; la sola nota positiva è che 
hanno perlomeno un senso con la trasposizione voluta dal regista.  
Le luci funzionano, ma non sanno dare alcun tono di suggestione. La regia è 
pressoché inesistente: qualche movimento dei cori, qualche coreografia, il resto 
sembra uno spettacolo messo in piedi in giornata, con qualche prova al 
pomeriggio come fanno le compagnie itineranti. 
Anche le aspettative per il ritorno di Anna Caterina Antonacci 
erano molto alte, sfortunatamente superate solo in parte. La celebre artista ha 
classe da vendere e la sua raffinata interpretazione di Carmen è di 
ottimo gusto, seppur mancando di passionalità in alcuni momenti, come nell'aria 
“Près des remparts de Séville”. La voce invece non possiede più lo 
smalto di un tempo e numerosi sono i passaggi pressoché parlati piuttosto che 
cantati. 
Molto buona è la prova di Dmytro Popov nei panni di Don 
José, dotato di timbro leggero ben poggiato e saldo sulle note più basse. 
Ottima l'intonazione e molto buoni i pianissimi, rende molto bene la famosa “La 
fleur que tu m'avais jetée” col solo appunto di mancare nello stile 
italiano e francese del canto sul labbro, e si sente molto la gola.
  
Irina Lungu piace sempre moltissimo al pubblico torinese, ma 
la sua Micaëla non è da considerarsi oltre la sufficienza. Così come lo 
scorso anno in Marguerite, pur cantando correttamente, manca di 
corposità: soprattutto l'aria di terzo atto, ancor più del duetto del primo, è 
troppo pesante e oltre le sue possibilità timbriche. 
Anche Vito Priante rende un Escamillo adeguato ed 
efficace, ma nulla di più. È corretto, ma poco brillante e parco nel fraseggio. 
La Frasquita di Anna Maria Sarra e la Mercédès 
di Lorena Scarlata Rizzo sono abbastanza musicali e ciò 
contribuisce positivamente alla buona resa del bel quintetto “Nous avons en 
tête un affaire”, ma entrambe le vocalità sono un po' troppo flebili per 
lasciare un segno negli altri punti della partitura.  
Molto buono il contributo del Dancaïre di Paolo Maria 
Orecchia e del Remendado di Luca Casalin. 
Ottimo lo Zuniga di Luca Tittoto, che si vorrebbe 
udire in parti di maggior prestigio, mentre poco intonato è il Moralès 
di Emilio Marcucci. 
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