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Recensione opera lirica La gazza ladra di Gioachino Rossini al Teatro Alla Scala di Milano

William Fratti, 08/05/2017

In breve:
Milano - Recensione dell'opera lirica La gazza ladra di Gioachino Rossino in scena al Teatro Alla Scala di Milano il 5 maggio 2017.


Riportare in scena titoli che al Piermarini hanno avuto i loro natali, per poi essere ingiustamente dimenticati, è compito lodevole, culturalmente vincente, ma al contempo difficile da mediare col gusto odierno del pubblico. Nel caso della pregevole La gazza ladra, come lo scorso anno per Giovanna d'Arco, si assiste a un recupero molto intelligente: l'opera, nella sua interezza e revisione critica a cura del compianto Alberto Zedda, è già stata più volte rappresentata al Rossini Opera Festival di Pesaro, pertanto questa della Scala appare come una conferma internazionale del ritorno di questo capolavoro - fatto di numeri musicali fin troppo all'avanguardia per l'epoca - sulle scene di tutto il mondo.

Riccardo Chailly, che in molte occasioni ha dimostrato di essere un ottimo esecutore del repertorio rossiniano, si avvale di un cast composto quasi interamente di specialisti - in molti hanno già interpretato il ruolo - e il risultato complessivo che ne ottiene, soprattutto in termini di stile, è davvero eccellente, eccezion fatta per le variazioni che sono veramente ridotte ai minimi termini. Il vigore con cui dirige “la grandiosa vastità dell'affresco” è superbo, pur non mancando accenti drammatici e sfumature patetiche, anche se in alcuni momenti si nota un eccessivo volume orchestrale. Pregevole il fortepiano di James Vaughan. Ineccepibile il Coro del Teatro alla Scala guidato da Bruno Casoni.

Rosa Feola è una bravissima Ninetta, tecnicamente impeccabile, soprattutto nell'intonazione e nelle colorature. Il timbro è leggermente acidulo e ciò rende ancor più interessante il gusto rossiniano, particolarmente nei passaggi più meccanici. Per questo ruolo si preferirebbe una vocalità più morbida e scura, tanto da rendere maggior pathos nelle pagine più sentimentali e commoventi, purtuttavia Rosa Feola riesce comunque a rendere i giusti colori.

La affianca il Giannetto di Edgardo Rocha che in questa parte mostra ulteriori pregi rispetto a performance precedenti, principalmente negli staccati, nelle punte, in generale in tutti i virtuosismi, ma anche nelle belle frasi melense del finale primo.

Il canto di Michele Pertusi è da prendersi come una scuola. Il suo modo di porgere il suono, di articolare la parola, di dare intenzione ad ogni singolo fraseggio, in ambito rossiniano non ha rivali. È naturale che la sua voce non abbia più l'elasticità di un tempo, ma l'espressività è insuperabile e il suo Gottardo vive di tutte le sfumature volute dal compositore, dalla quasi buffa cavatina, alla viscida e drammatica seconda aria, fino alla resa conclusiva.

Alex Esposito è un Fernando più che eccellente. Stile perfetto, linea di canto sempre uniforme, agilità sopraffine, colori centratissimi e notevole spessore drammatico arricchiscono la sua vocalità già naturalmente bella e predisposta al repertorio del pesarese.

Teresa Iervolino è una buona Lucia, principalmente nell'interpretazione e nel canto patetico, ma c'è ancora molto spazio di miglioramento nelle agilità e nella proiezione.

Serena Malfi è un Pippo più che discreto, ma volume, timbro e proiezione hanno bisogno di maggior corpo.

Ottimo il Fabrizio di Paolo Bordogna, costantemente brillante e con suoni sempre in punta. Molto piacevole l'Isacco di Matteo Macchioni. Efficaci anche Matteo Mezzaro nei panni di Antonio, Claudio Levantino in quelli di Giorgio e del Pretore, Giovanni Romeo in quelli di Ernesto.

Lo spettacolo di Gabriele Salvatores è abbastanza deludente. Salvatores, come molti altri registi di cinema che si sono accostati o riavvicinati al teatro dopo tanti anni, non appaga poiché privo di idee originali. La gazza acrobata, le marionette, i doppi o le proiezioni dei personaggi, il teatro nel teatro, sono tutte cose già viste e riviste che da sole, senza una novità che faccia da zoccolo duro, non giustificano l'alto nome del regista coinvolto. Detto ciò va comunque riconosciuta l'eccellenza del lavoro minuzioso fatto con gli interpreti in termini di gesti, sguardi, espressioni, movimenti, azioni che riempiono costantemente le oltre tre ore di musica, poiché non c'è uno spazio vuoto, ma tutto è studiato nel minimo dettaglio pur nella massima naturalezza.

In perfetta linea con lo spettacolo, anche se un poco anonime, le scene di Gian Maurizio Fercioni e le luci di Marco Filibeck. Migliori i costumi, sempre di Fercioni.

 
 
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