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Recensione opera lirica Don Carlo di Giuseppe Verdi in scena al Teatro La Fenice di Venezia

William Fratti, 10/12/2019

In breve:
Venezia, 3 dicembre 2019 - Recensione dell'opera lirica Don Carlo di Giuseppe Verdi in scena al Teatro La Fenice di Venezia.


Nel corso della sua lunga e incontrastata carriera Giuseppe Verdi ha spesso rimesso mano ai suoi lavori, aggiungendo, togliendo, modificando, talvolta anche poche note o poche parole.

Don Carlo è indubbiamente una di quelle più rimaneggiate e Robert Carsen, nel mettere in scena la versione milanese in quattro atti, approfitta della coesione e della simmetria drammaturgica dell'opera per evidenziare i caratteri amletici, ambigui ed esistenziali dei personaggi. Il dramma schilleriano diventa shakespeariano e il grand-opéra diventa tragédie lyrique. La vicenda storica, intrisa di fantasia dagli stessi Schiller e Verdi, con Carsen si fa ancora più immaginaria, ma questa volta l'immaginario è così realistico che quasi spaventa. Il lavoro del regista, come già evidenziato in più occasioni, è sempre elegante, fortemente introspettivo, precisissimo nei movimenti, nei gesti, nella filologia, dove nulla è lasciato al caso, dove anche un piccolo gesto assume una grande importanza.

Tutti gli interpreti incarnano alla perfezione l'idea di fondo dello spettacolo e seguono attentamente l'enigmatico filo conduttore lasciando il pubblico col fiato sospeso.

Piero Pretti è un Don Carlo eccellente, generoso, dotato del giusto spessore vocale tipicamente lirico, arricchito da un'ottima punta, con acuti luminosi e brillanti.

Lo affianca la bravissima Elisabetta di Maria Agresta, che forse appare un po' affaticata rispetto alle strabilianti recite di Madrid, ma è sempre una delle migliori interpreti verdiane del momento.

Julian Kim è un Rodrigo encomiabile, anch'egli particolarmente prodigo e raggiante. Volendo cercare il pelo nell'uovo, forse ci si sarebbe aspettata una maggiore accuratezza nei trilli.

Veronica Simeoni continua ad essere una professionista di alto livello, ma il ruolo di Eboli sembra essere oltre le sue possibilità. Le note sono al loro posto e il fraseggio è studiato, ma il timbro chiaro non la aiuta, né nei colori, né negli accenti, dando l'impressione di un certo vuoto.

Sorprende invece molto positivamente il Filippo II di Alex Esposito: nonostante si sia affacciato da poco al canto verdiano, con questo temibile ruolo dimostra di avere tutte le carte in regola. In termini di vocalità è possibile affermare che non gli manchi nulla. E ulteriori riprese della parte gli potranno conferire quella maggior ricerca nella parola e nel fraseggio da renderlo sicuramente uno dei migliori.

Marco Spotti è indubbiamente un Grande Inquisitore di riferimento, non solo per la qualità vocale, ma soprattutto per l'espressività.

Molto bene anche per il frate di Leonard Bernard.

Bravi il Tebaldo di Barbara Massaro, il conte di Lerma di Luca Casalin, l'araldo di Matteo Roma.

Gilda Fiume è una voce dal cielo di lusso, come pure i deputati fiamminghi di Szymon Chojnacki, William Corrò, Matteo Ferrara, Armando Gabba, Claudio Levantino e Andrea Patucelli.

Eccellente il Coro del Teatro La Fenice preparato da Claudio Marino Moretti.

Myung-Whun Chung dirige con la sua consueta precisione, dando prova di ottime dinamiche e accenti vigorosi soprattutto nella seconda parte.

 
 
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