Subito dopo il Trittico dello scorso mese di maggio, ha fatto seguito Manon
Lescaut in occasione della ricorrenza dei centocinquanta anni dalla nascita
del Maestro Giacomo Puccini.
La prima delle opere più popolari del compositore lucchese – con libretto tratto dal noto
romanzo dell'abate Prévost dopo le Manon di Auber e di Massenet, è stata messa in
scena con un allestimento tradizionale del Massimo riveduto e corretto, con la
regia di Pierfrancesco Maestrini e le scene di Fiorella Mariani ed
era stata similmente rappresentata con successo anche al Bellini di Catania.
Fedele al libretto, con i costumi d'epoca di David Walker e con arredi
classici di buon gusto, piuttosto completa e curata nei particolari (la carrozza
del primo atto da cui scende Manon era trainata da un vero cavallo).
Purtroppo le agitazioni sindacali ed il rischio dello sciopero a sorpresa, aleggiano ormai al
Teatro Massimo di Palermo come un impercettibile ed atonale sottofondo musicale,
per disturbare il corso delle rappresentazioni.
Sia la prima
del 13 giugno parzialmente disertata dal pubblico sia la replica del successivo
giorno 15 con lo stesso cast sono state a rischio, soprattutto per l'assenza di
Daniela Dessì nel ruolo del titolo che avrebbe dovuto affiancare Fabio
Armiliato, come previsto nel programma degli abbonamenti. Non è chiaro il
motivo della sua sostituzione; dai volantini che sono stati distribuiti dal
sindacato di settore all'ingresso il 15 giugno, sembrerebbe dovuto alla
responsabilità dell'organizzazione del teatro, ormai adusa a frequenti sostituzioni.
A prescindere dalle suddette problematiche – cui difficilmente ci rassegneremo - riteniamo che
non sia corretto diffondere tra il pubblico meno attento – che spesso tributa
applausi ad interpreti e spettacoli non proprio così meritevoli - malumori che
alla fine penalizzano la serata e quindi la resa musicale dei professionisti.
Certamente Manon Lescaut oggi è uno dei cavalli di battaglia degli "Armiliato"
(ricordiamo il successo di entrambi a Palermo negli anni scorsi in Madama
Butterfly ed in Andrea Chénier), coppia più che affiatata nella vita e sui
palcoscenici internazionali, ma non si può certo dire che la signora Daniela non
sia stata sostituita dignitosamente. Â
La giovane rumena Adina Nitescu che calca da anni le scene dei maggiori teatri
europei ed esperta del ruolo, debuttante a Palermo subito dopo il successo al
Bellini di Catania, è stata una Manon di bella presenza, innocente,
civettuola, sensuale, amorosa e drammatica nel contempo. Non sarà ancora del
tutto matura vocalmente, sicuramente dovrà perfezionare lo stile di canto, ma è
un soprano dotato di un bel corposo e caldo timbro di lirico - spinto
dall'intenso volume e di buon'estensione: non ha mostrato alcuna difficoltà
neanche nelle puntature più acute che sovrastavano l'intera orchestra.
Dotata inoltre di chiarissima dizione nonostante le sue origini, ha risolto con
continuità di canto le famose arie soliste "in quelle trine morbide " del
frivolo secondo atto e la drammatica "sola, perduta, abbandonata " del
quarto, oltre i rispettivi intensi duetti amorosi con  De Grieux.
Il suo cavaliere non è stato purtroppo quello del solito Fabio Armiliato che ci aspettavamo.
 Al primo atto ha mostrato talune piccole difficoltà
d'estensione nella parte alta del registro in "donna non vidi mai...Manon
Lescaut mi chiamo… "; nell'intervallo con il secondo atto è stato annunciato
che sebbene un'indisposizione di salute - presumibilmente latente anche alla
prima  – avrebbe tuttavia portato a termine la recita.
Come si è
detto in altre circostanze, egli non è un tenore lirico - spinto d'imponente
volume ed in cerca di grandi effetti sulle platee; non forza gli acuti ed è
dotato di un un bel timbro elegante come la
sua presenza. Â Â Â
Grazie alla
sua esperienza, ha superato
ugualmente le difficoltà dei duetti e soprattutto nel terzo atto "
guardate, pazzo son", quindi è stato un De Grieux di tutto rispetto, in un'opera
che in ogni caso mette a dura prova le corde del tenore.
Il terzo è certamente l'atto collettivamente più carico d'emozioni, dall'appello delle
cortigiane, tra le quali Manon, che dalla prigione devono essere imbarcate a
Le Havre per "popolare le Americhe", al grandioso
concertato sostenuto con gran professionalità dall'ottimo coro al completo -
preparato e diretto da Miguel FabĂan MartĂnez - e da un'orchestra
che con la superba direzione del giovane ed affermato maestro Giampaolo Maria
Bisanti si è mostrata piuttosto precisa, sin dalle melodie sinfoniche del
primo atto.
L'esecuzione dell'intermezzo - atto a rappresentare la disperazione di De Grieux - con viola
e violoncello solisti e la melodia in si minore degli archi al completo sono
stati l'esito di una perfetta concertazione, in una partitura che richiama
spesso melodie e sinfonie fondamentali in tutto il contesto dell'opera (Wagner
docet). Sono scaturite talune riserve sulla lettura musicale del maestro
Bisanti, per i tempi sostenuti e le intense dinamiche delle pagine più colorite,
ma si deve pur tener conto che la Manon di Puccini è una tra le prime
composizioni di fine ottocento che anticipa il realismo, il verismo musicale, in
opposizione quindi, ad esempio, all'omonima opera comique di Massenet.
Interessanti e preparate le voci di Dalibor Jenis , con ottime esperienze rossiniane e
verdiane, nel ruolo del militare - fratello di Manon dal timbro esteso di
baritono chiaro e del giovane Saverio Fiore – Edmondo in "ave sera
gentile ", dalla bella voce di tenore lirico-leggero in carriera, ai quali
sono dedicate purtroppo  poche pagine musicali per essere apprezzati
compiutamente.
Simpatico il ricco Geronte dell'esperto basso-buffo rossiniano Danilo Rigosa che con
la sua alta professionalità di cantante-attore, a bordo di una carrozzella
spinta da un inserviente, ha dato un bel tocco d'ilarità al dramma pucciniano
nei primi due atti.
Ottimo lavoro anche da parte dei comprimari, in una rappresentazione che rispetto alla prima
ha riscosso più consensi soprattutto al termine dello spettacolo e che ha subito
sicuramente l'influenza delle agitazioni in corso; questo in un teatro di
tradizione come il Massimo, che ha ospitato i più grandi interpreti del
melodramma, non dovrebbe verificarsi.
Gigi Scalici