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» Recensione dell'Opera Don Quichotte di Jules Massenet al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 27/10/2010

In breve:
Palermo, 17/10/2010 - Preziosa interpretazione di Ferruccio Furlanetto ne "il cavaliere errante che riaggiusta i torti".


Torna al Teatro Massimo dopo oltre un quarantennio ed un secolo dal debutto di Montecarlo il “Don Quichotte ”, capolavoro non molto noto ma non meno importante musicalmente, per il consistente spessore espressivo raggiunto nella sua stesura da un Jules Massenet molto anziano e malato, ormai al termine della sua esistenza. 

La storia del libretto, ben lontana dall'originario romanzo di Cervantes, è ulteriormente variata in quest'allestimento prodotto dal Massimo e dal Théâtre Royal de La Monnaie di Bruxelles.
Secondo la lettura di Laurent Pelly cui appartengono regia e costumi, con scenografia di Barbara de Limburg Stirum,  prevale una consistente massa cartacea in tutti e cinque gli atti, dalle lettere d'amore scritte da Don Chisciotte per Dulcinée  mai lette, ai copiosi testi di letteratura che formano “montagne culturali” vere e proprie su cui hanno corso gli eventi.
E' una trasposizione onirica piuttosto simbolica e valida che vede coinvolto il compositore stesso nelle vesti del cavaliere errante, in distinti abiti borghesi ed in cui soltanto una parte della manica sinistra ne richiama l'armatura tradizionale.

Il famoso basso Ferruccio Furlanetto (acclamatissimo Mefistofele al Massimo nel 2008), esperto interprete del nobile mitico cavaliere spagnolo, è assolutamente a proprio agio. Conosce fin troppo bene il personaggio del ruolo di bass-baritone della Comédie héroïque e non sembra affatto condizionato dalle particolari e talvolta scomode scelte registiche.
La sua interpretazione è sicura e  ben definita in questa storia d'amore e di poesia, anche vocalmente, per il suo caratteristico timbro dal sicuro ed ampio volume e per la ricchezza degli armonici, senza alcuna difficoltà verso il registro più alto.
Certamente si avvertono i segni del logorio vocale della lunga carriera, tuttavia è perfettamente in linea con il personaggio.
Efficace l'artista veneto nella sua serenata a Dulcinée - interpretata da Irini Karaianni – e nel romantico duetto “ O toi dont les bras sont plus frais que la mousse ”, oltre che nell'epico duello del secondo atto con i mulini a vento, rappresentati da enormi pale ruotanti schermite dall'Hidalgo  a cavallo di un ariete fuoriuscente dall'imponente montagna di carta, con il caratteristico accompagnamento dello xilofono atto a simulare i colpi della lancia.
Molto coinvolgenti infine la conclusione del quarto atto e la scena finale della morte in posizione eretta ed obliqua non certamente naturale.

La giovane mezzosoprano greco Irini Karaianni, vincitrice del concorso Giuseppe di Stefano del 1998 ed affermata interprete dei principali ruoli della sua tessitura vocale, pur assecondando bene il frivolo e sensuale personaggio in totale contrasto caratteriale con il cavaliere errante, favorita dalla sua bella presenza, almeno in questa performance è sembrata giù di tono, nel contesto dei concertati e soprattutto nella zona medio grave del suo registro, recuperando però in quella acuta.
Ottima comunque la malinconica aria "Lorsque le temps d'amour" di introduzione del quarto atto.

L'argentino basso-baritono Eduardo Chama nelle vesti  di Sancho Panza, cui Massenet non  ha associato un particolare spessore musicale, pur non potendo esprimersi al meglio nella figura del fedele gregario a causa dei condizionamenti registici (si muoveva continuamente in scena in abiti civili attuali, con una normale giacca indossata sopra la maglietta), ha risolto comunque il suo ruolo con molta professionalità, con sicurezza e con adeguato volume vocale nell'estensione del suo registro.

Non è mancato poi un particolare apprezzamento per i quattro simpatici amici in classico abito nero da cerimonia e cilindro: Elisabetta Martorana e Rachele Stanisci soprani en travesti ( Pedro e Garcias) ed i tenori Salvatore Ragonese e Gianluca Sorrentino (Rodriguez e Juan), di ottima vocalità e di brillante performance.

La tessitura del Don Quichotte non è certo paragonabile come completezza ai capolavori del moderato compositore verista di Manon e Wherter e di tante altre opere tra cui Le Cid e Thais, che varrebbe la pena rappresentare, ma concertata e diretta da un maestro come Alain Guingal, profondo conoscitore del repertorio francese ed in particolare di Massenet, si riesce ad apprezzarla compiutamente, anche nelle pagine e nelle misure meno ricche della partitura.
Il noto direttore d'orchestra ha dato una lettura completa alternando, tempi stretti ed intense dinamiche dai ricchi colori, forti intensità e precisione nelle percussioni, come nell'ouverture e nella lotta ai mulini a vento, a ricercate ed espressive raffinatezze dai tempi lenti, come in particolare nella sinfonia dei primo violoncello e degli archi del secondo interludio dell'opera.
Tutto in perfetta sintonia con i solisti e con il coro cui l'autore dedica ampie pagine, ben preparato da Andrea Faidutti che nel primo atto (in costumi spagnoli), raggiunge il massimo delle prestazioni d'insieme.

In buona sostanza una rappresentazione molto soddisfacente che ha conquistato l'intero pubblico, pur se con taluni cenni di disapprovazione al termine, in cui le ovazioni sono state molto fragorose e lunghe per tutti.

 
 
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