| Un fato capriccioso e crudele,  che strazia personaggi in totale balia di sentimenti e passioni; una forza  suprema che allontana i protagonisti nello spazio e nel tempo, per poi condurli  a un inesorabile, cruento epilogo. 
  Accidenti, eventi funesti nella finzione e  nella realtà, che, nel tempo, hanno trasformato La forza nel capolavoro jellato per eccellenza, insieme al Macbeth shakespeariano. Tutt'altro che  sfortunata e accidentale è da considerarsi l'opera nell'ambito del percorso  compositivo di Verdi: una svolta  importante, conquistata non senza faticose tappe costellate da ripensamenti e collocata  tra gli esiti geniali della Trilogia Popolare e la grandiosità dell'indiscussa Aida.   Principalmente innestato sul dramma Don Álvaro, o La fuerza del sino di Angel de Saavedra, duca di Rivas, il  lavoro viene composto su libretto di Francesco  Maria Piave per il Teatro Imperiale  di Pietroburgo; il debutto russo del novembre  1862 è seguito da quello romano nel 1863.  Diversi aspetti, però, non convincono il compositore, che decide di revisionare  sotto vari punti di vista con l'apporto di Antonio  Ghislanzoni: la prima scaligera della nuova versione avviene nel febbraio 1869, dando così il via alla  vera diffusione dell'opera e al forte sodalizio di Verdi con il teatro  milanese.  Il risultato della  rielaborazione offre un componimento che va oltre gli stilemi del melodramma  fino a quel momento concepito: i numeri  chiusi divengono brani brevi e formalmente sciolti, in cui la musica  definisce in modo più attento la psicologia di personaggi principali e non; si  abbandona l'incontrastato primato della voce verso soluzioni che fanno  dell'orchestra una vera e propria protagonista. Ciò è fortemente espresso sin  dalla Sinfonia iniziale, oggetto  primario della revisione operata da Verdi:  quello che in principio era solo un breve Preludio diviene una pagina narrativa fondamentale e meravigliosa, in cui i temi  musicali caratteristici delle varie vicende trovano sia espressione individuale  sia completezza d'insieme. La magistrale direzione del Maestro Metha esalta tutte le caratteristiche di quella che può  essere definita l'ultima Sinfonia del Cigno, muovendo colori e umori di un'Orchestra del Maggio in forma  strepitosa. Tutto quello che La forza rappresenta è già  contenuto, miscelato e sezionato, in questa pagina incredibile, facendo di ciò  che segue una sorta di svolgimento visivo e uditivo di cui, in qualche modo,  non si avverte la necessità.  La vicenda ha inizio con la  realistica ricostruzione della dimora del Marchese  di Calatrava (il basso Enrico Iori),  in un salone dalle ricche pareti damascate, delimitato ai lati da porte con  colonne e timpano, e in alto da un ricco fregio; cassapanche di legno scuro  sullo sfondo, su cui sono posizionati candelabri che dispensano  un'illuminazione soffusa e inquietante (le luci originali di Jürgen Hoffmann sono riprese da Luciano Roticiani), forse presagio  dell'imminente tragedia. L'accidentale uccisione del padre di Leonora (il soprano Violeta Urmara) da parte di Don Alvaro (il tenore  Salvatore Licitra) e la conseguente sete di vendetta di Don Carlo (il baritono Roberto Frontali) proietta la narrazione in una dimensione  da incubo: si tratti di Siviglia, Velletri o del convento, le strutture sono  rovine distrutte, monoliti dal gusto primitivo, il tutto su uno sfondo di cielo  e nuvole più o meno rarefatte (video e proiezioni di Sergio Metalli per Ideogramma,  Rimini).  Il trio soprano-tenore-baritono, in quest'opera anomalo, dato che  i due innamorati si incontrano solo all'inizio e alla fine, è ben svolto dagli  interpreti, seppur Licitra tradisca  una qualche difficoltà d'intonazione nell'arduo ingresso che Verdi riserva al personaggio di Don Alvaro. La dimensione spirituale è  individuata dall'enorme mosaico di Cristo  Pantocratore nel convento e dal vuoto rifugio eremitico, costituito da uno  spaccato di cella su cui pende un enorme masso con una croce incisa: destino  implacabile, presenza suprema di un Dio le cui volontà rifuggono la  comprensione umana. Il basso Roberto  Scandiuzzi e il baritono Roberto de  Candia esprimono con efficacia l'austerità di Padre Guardiano e la buffa umanità di Fra Melitone.  Estrema cura è dedicata alle scene d'insieme, in cui  il Coro del Maggio e Maggio Danza danno vita a variegate  tipologie di personaggi intenti alle più disparate attività; in questo contesto  si inserisce il bel personaggio di Preziosilla,  interpretato con vivacità dall'interessante timbro del mezzosoprano Elena Maximova. La messinscena scorre in modo complessivamente agevole,  soprattutto grazie all'autorevole presenza di Metha, che disciplina con eleganza tempi e ritmi di questa  impegnativa opera, per natura complessa in quanto a vicende e ambientazioni. |