|  (Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal sito del teatro Regio di Torino) 
 
 Giuseppe Verdi è l'artista che più di tutti ha contribuito alla nascita e   allo sviluppo di un'identità nazionale, a partire da quel Nabucco, dal coro del   "Va', pensiero, sull'ali dorate" in cui il popolo milanese si è subito   immedesimato. Il compositore delle Roncole, senza volere, ha continuato a dare   voce al Risorgimento italiano con "O Signore, dal tetto natio" da I Lombardi   alla prima crociata, con "Si ridesti il Leon di Castiglia" da Ernani, con   "Patria oppressa! il dolce nome" da Macbeth, per poi musicare il testo di   Goffredo Mameli "Suona la tromba" su commissione di Giuseppe Mazzini e fino a   comporre appositamente La battaglia di Legnano, quasi a dare seguito alle Cinque   Giornate di Milano. Ma l'opera che più di tutte, ancora oggi, sa risvegliare il   patriottismo più puro è I vespri siciliani, giustamente scelta dal Teatro Regio   di Torino per festeggiare il Centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Davide Livermore mette in scena uno spettacolo dalle tinte forti,  soprattutto per i messaggi   che trasmette, ben evidenti in ogni punto della vicenda. Il regista parte   giustamente dal presupposto che Verdi non pensava ad un preciso momento storico,   ma all'Italia, al concetto di Unità e soprattutto a quello di Nazione. È chiaro che allestire I vespri siciliani nella versione originale   duecentesca o nella tradizionale revisione non ha più un senso, per questo Livermore si lascia ispirare dalla Strage di Capaci, dai problemi della   mafia e del terrorismo, ma soprattutto dal sistema dei media, dalla cattiva   informazione e dallo smantellamento culturale, che sostiene essere il nuovo
 invasore.  
  "Un applauso va   rivolto anche ai collaboratori del regista, dalle scene di Santi Centineo ai   costumi di Giusi Giustino, dalle luci di Andrea Anfossi, alle coreografie di   Luisa Baldinetti e Cristina Banchetti. Alcuni nei andrebbero tolti o aggiustati,   poiché disturbano l'eleganza che si conviene all'opera.   È un   vero peccato che al termine della serata il regista sia stato contestato da una   parte del pubblico. Si può fischiare uno spettacolo fatto male, questo è lecito.   Ma non è corretto protestare qualcosa o qualcuno solo per la diversità di idee o   di vedute. Questi Vespri possono non piacere, è soggettivo, ma sono stati fatti   davvero bene, con tutti i crismi che convengono ad una produzione   internazionale. E questo è un dato oggettivo.  
 Maria Agresta – rivelazione dello Sferisterio Opera Festival 2010 e del Festival Verdi 2010, nelle vesta di Odabella nell'Attila verdiano – esegue il   difficile ruolo di Elena con la giusta perizia, riuscendo laddove colleghe più   esperte e blasonate hanno parzialmente fallito. Inoltre Sondra   Radvanovsky ha dovuto cancellare molte recite a causa di un'indisposizione,   passando il testimone alla Agresta. Il giovane soprano di origine cilentana   riesce a dispiegare in maniera omogenea e generosa tutte le pagine della lunga   partitura, col giusto accento drammatico nei primi atti, passando alle tinte   patetiche del quarto e ai colori tragici del finale, attraversando con intensità   l'attesissima "Arrigo! Ah! Parli a un core" e con vigore misurato la parentesi   del bolero. Nulla è lasciato al caso. Tutto è estremamente corretto. Se Maria   Agresta continuerà nello studio, accettando ed affrontando in maniera   intelligente i ruoli che le saranno offerti, solo l'esperienza potrà migliorare   ulteriormente il suo canto e l'espressività del suo fraseggio.
 Gregory Kunde si dimostra essere chiaramente all'altezza di se stesso. Forse   manca della morbidezza e del fraseggio più tipici del canto italiano, ma ciò non   è certo motivo di critica. Il tenore americano affronta la difficile partitura   con la competenza tecnica del belcanto, acuti saldi e potenti, omogeneità nel   passaggio e in tutta la linea di canto, nonché intensità nell'interpretazione e ne risulta vincitore. La parte di Arrigo è molto lunga, prevedendo quattro   duetti, due arie, due concertati e un terzetto e ha una tessitura molto alta, ma   Kunde la svolge senza segni di cedimento. "Giorno di pianto" è accolta con un   lunghissimo e meritatissimo applauso del pubblico, ma meno apprezzata –   ingiustamente – è "La brezza aleggia intorno", generalmente mai eseguita, forse   perché prevede un re sovracuto che qui viene correttamente eseguito in un   falsetto molto sonoro e uniforme alla vocalità.  
 Franco Vassallo è un baritono versatile, che sa sposare l'eleganza del   belcanto all'accento verdiano con estrema naturalezza. Lo sviluppo psicologico   di Monforte non è semplice, ma il baritono milanese sa creare un proprio   personaggio seppur in maniera non troppo marcata. La vocalità è adeguata e   denota i giusti colori, come pure la linea di canto è ben equilibrata. "In   braccio alle dovizie" è resa con lirica intensità, anche se nel duetto   successivo qualche nota è parsa calante. Ildar Abdrazakov è un professionista del canto che conosce chiaramente i   proprio limiti e sa arrivare ai giusti compromessi per mantenere alto il livello   della propria prestazione. L'aria di sortita "O tu, Palermo, terra adorata"   mostra immediatamente le sue naturali doti liriche e cantabili, la morbidezza   del suono, le capacità interpretative e di fraseggio, come pure gli ostacoli   nelle note più gravi, poco sonore, a tratti quasi parlate, ma comunque eseguite   come da spartito. Forse la frase più debole è "Sì, parla! Se tu l'osi!" nel   terzetto finale, ma nulla di tutto ciò guasta l'eccezionale esecuzione di questo   complesso personaggio verdiano.  Un plauso va anche ad ognuno dei numerosi comprimari, che   hanno eseguito la propria parte che la giusta efficacia, contribuendo in prima   persona alla buona riuscita dello spettacolo.  Gianandrea Noseda dirige l'Orchestra del Teatro Regio di Torino con   precisione, accuratezza e polso ben saldo, ottenendo un ottimo risultato. Fin   dall'ouverture si nota chiaramente che la decisione del direttore è quella di   ripulire la partitura da tutti gli effetti bandistici che talvolta assillano le   orchestrazioni verdiane, oltre a ricercare colori altamente espressivi. Il   concertato che conclude terzo atto è eseguito in maniera magistrale, fino a   commuovere, soprattutto all'attacco di "O Patria adorata" che potremmo   considerare alla stregua di un Inno Nazionale. Altrettanto significativi sono   "Addio, mia patria, invendicato" di quarto atto e il terzetto conclusivo   dell'opera.  Ottima è anche la prova del Coro del Teatro Regio guidato da Claudio   Fenoglio. |