Il Teatro Regio di Torino conclude con grande successo 
l'applauditissima Stagione Lirica 2010-2011 con una incantevole 
edizione di Lucia di Lammermoor, soprattutto sotto il profilo 
musicale e vocale.  
 L'allestimento ideato da Graham Vick per il Maggio Musicale 
Fiorentino forse non è di immediata comprensione nell'aprirsi e 
richiudersi di finestre e spiragli, più o meno grandi, sulle vicende romantiche 
di Scott, ma è certamente suggestivo, perfettamente omogeneo ed 
equilibrato con le scene accattivanti e i bellissimi costumi settecenteschi di 
Paul Brown e le luci cariche di atmosfera di Nick Chelton, 
chiaramente orientato a condurre lo spettatore verso l'apoteosi finale della 
pazzia di Lucia e del suicidio di Edgardo. 
La direzione di Bruno Campanella sembra inizialmente un po' 
lenta, ma col procedere dell'esecuzione si scopre l'intento musicale del Maestro 
di voler sottolineare l'eleganza del compositore bergamasco e la finezza con cui 
ha voluto dipingere il suo romanticismo, arricchendo tutta la partitura di 
colori e sfumature che mettono sempre in risalto le belle voci degli interpreti. 
Molto positiva è anche la decisione di mettere in scena un'edizione pressoché 
integrale, restituendo all'orecchio del pubblico alcuni recitativi spesso omessi 
ed eliminando solo alcuni da capo e un paio di seconde strofe. 
 È doveroso sottolineare che quattro importanti teatri della penisola –
Palermo, Torino, Trieste e Venezia, in rigoroso ordine 
alfabetico – hanno sentito la necessità tutta italiana, dove ognuno pensa al 
proprio orticello, di confrontarsi sul medesimo melodramma, con alternate 
opinioni del pubblico e della critica sulla riuscita o meno dei rispettivi 
spettacoli. Ciò che è importante rimarcare – considerati i tempi in cui sempre 
più spesso le agenzie impongono alle sovrintendenze interpreti oltremodo 
scadenti, provenienti dai posti più esotici ed improbabili del mondo, dotate di 
tanta beltà e ben poca tecnica – è la scelta di quattro protagoniste di 
altissimo livello – Silvia Dalla Benetta, Elena Mosuc, Jessica Pratt, 
Desirée Rancatore, sempre in rigoroso ordine alfabetico – ognuna coi 
propri pregi e difetti, ma che oggi rappresentano, sul mercato italiano, le 
migliori Lucie in circolazione. 
 
Elena Mosuc rasenta la perfezione tecnica e a tale 
considerazione non c'è molto altro da aggiungere. Ovviamente la sua vocalità le 
permette di dare il meglio nelle fioriture e nei virtuosismi, nel registro acuto 
e sovracuto, nella delicatezza dei filati naturalissimi, nell'eleganza del 
fraseggio, nel canto finemente cesellato dove ogni nota diventa assolutamente 
importante, anche se la resa del personaggio resta sempre un poco fredda. La 
scena della pazzia è giustamente accolta da pubblico con grandissimo calore e 
numerose richieste di bis, con un meritatissimo applauso protratto per diversi 
minuti. 
Francesco Meli canta sempre meglio, ed ogni volta l'ascolto 
della sua voce è un vero piacere per le orecchie e per il cuore. L'espressività 
del suo fraseggio e l'ottimo controllo dei fiati sono immediatamente mostrati 
già dal duetto “Sulla tomba che rinserra” dove il bel timbro, il 
piacevole squillo e le gradevolissime mezze voci portano alla commozione. Gli 
accenti più intensi sono resi nella gran scena e concertato del matrimonio, 
durante cui un lunghissimo plauso degli spettatori e numerose acclamazioni al 
termine del quartetto gli hanno strappato un sorriso a scena aperta. L'aria 
finale e la cabaletta sono davvero toccanti ed emozionanti, eseguite così bene e 
correttamente che è doveroso non prendere in considerazione – come del resto ha 
fatto il pubblico presente in sala – un piccolissimo e minimo inconveniente 
sulla cadenza: non sono certo tali eventi a sminuire la grandezza e la 
professionalità di interpreti del livello di Francesco Meli. 
 Fabio Maria Capitanucci, che sul palcoscenico torinese ha 
recentemente affrontato con successo il ruolo di Germont, nella parte 
di Lord Enrico è ancora più a suo agio, sia per la scrittura vocale sia 
per l'interpretazione. Il baritono sabaudiese affronta con cura le pagine 
liriche del belcanto donizettiano, con buona tecnica e intonazione, acuti saldi 
e sonori, nonché la giusta dose di accento drammatico. 
Vitalij Kowaljow è inizialmente adombrato dai colleghi, in 
quanto non possiede una proiezione particolarmente efficace nel recitativo ed in 
certi punti sembra scomparire, ma sa rivalersi completamente durante la prima e 
difficile cavatina “Ah, cedi, cedi, o più sciagure” dove la voce scura, 
ma non troppo cavernosa, sa dispiegarsi lungo la complessa pagina, spesso 
tagliata, in cui occorrono sia note alte che basse, ben emesse e appoggiate. Gli 
applausi più calorosi arrivano in terzo atto, al termine della lunga aria con 
coro, dove il basso ucraino sa essere particolarmente intenso e toccante. 
Meno efficaci sono gli ariosi e i recitativi affidati a Cristiano 
Olivieri e Saverio Fiore nei rispettivi ruoli di 
Normanno e Arturo. Poco intonata è l'Alisa di 
Federica Giansanti. Egregie le prove dell'Orchestra e del 
Coro del Teatro Regio di Torino diretto da Claudio Fenoglio. 
 
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