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Recensione dell'opera lirica La Traviata di Giuseppe Verdi in scena al Teatro Municipale di Piacenza

William Fratti, 12/04/2012

In breve:
Piacenza, 23 marzo - La Stagione Lirica del Teatro Municipale di Piacenza si conclude con il nuovo allestimento de La Traviata di Giuseppe Verdi, firmato da Rosetta Cucchi e prodotto dal Teatro Comunale di Modena.


Esattamente come lo scorso anno, il Teatro Municipale di Piacenza conclude la Stagione Lirica con l'ennesimo scempio di un titolo verdiano, con il nuovo allestimento de La Traviata firmato da Rosetta Cucchi e prodotto dal Teatro Comunale di Modena. Il celebre melodramma della signora delle camelie è uno dei titoli più rappresentati al mondo, ma allo stesso tempo è uno dei più difficili da mettere in scena – se lo si vuole fare con tutti i santi crismi – e purtroppo quest'occasione ne è la prova inconfutabile, essendo deficitario sotto tutti quanti gli aspetti.

Rosetta Cucchi, coadiuvata da Tiziano Santi alle scene, Claudia Pernigotti ai costumi e Andrea Ricci alle luci, crea un allestimento semplice e scarno, molto probabilmente a sottolineare ulteriormente il sentimento della solitudine, come ribadito nelle note di regia, anche se non era strettamente necessario, poiché l'intero dramma di Verdi ruota attorno alla morte, così come espresso fin dalle prime note del preludio.

Interessante è l'idea di vedere Violetta come una pianta di camelie che lentamente sfiorisce e perde le foglie. È invece altamente fastidioso assistere a una regia non filologica – con Violetta che giudica il suo "Oh qual pallor!" senza possedere uno specchio, o Annina che non "dà accesso a un po' di luce" nonostante l'ordine della sua padrona, solo per citare alcuni episodi – e alla protagonista che si arrampica sul suo letto di morte, troppo inclinato per essere anche solo lontanamente naturale.
Le disapprovazioni del pubblico al termine della rappresentazione sono dunque giustificate, soprattutto trattandosi di un nuovo allestimento, dunque di denaro pubblico buttato dalla finestra.

Pietro Rizzo è sul podio dell'Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna, ma sembra non esservi. I musicisti della Fondazione Arturo Toscanini avrebbero potuto suonare da soli ottenendo il medesimo risultato. Purtroppo il suono non è mai all'altezza della verdiana memoria.

Irina Lungu è uno dei soprani tra i più acclamati in Italia in questo momento e ciò è davvero curioso. È indiscutibilmente bella, in possesso di una forte presenza scenica, abile nella recitazione, con un bel timbro di voce, ma assolutamente deficitaria sotto molti aspetti tecnici e il fatto che il suo mi bemolle sia saldo, non fa di lei una brava cantante.

Purtroppo La Traviata non si fa con una nota soltanto. Nel duetto di primo atto le basse sono un po' vuote, gli acuti un po' tirati e le appoggiature non sono tutte al loro posto. Inoltre qualche nota calante fa capolino. Il problema sul passaggio all'acuto – già notato in precedenti situazioni come ne Il corsaro e Il turco in Italia – si nota ancor di più durante l'aria, tra l'altro priva di pianissimi e della seconda strofa. Le agilità della cabaletta riescono bene e, affiancate al buon mi bemolle, strappano uno scrosciante applauso al pubblico piacentino, che forse non ascolta una corretta interpretazione del ruolo da oltre un decennio. La tenuta dei fiati non la aiuta nemmeno nel drammatico duetto con Germont: i piani di "Dite alla giovine" sono solo accennati; meglio invece l'impeto di "Morrò! La mia memoria". Il difficile terzo atto è a malapena mediocre e anche "Addio, del passato" è spogliato dei filati e della seconda strofa. Al termine dell'esecuzione gli spettatori sono divisi: molti in sala applaudono, tanti altri fischiano.

Non va meglio all'Alfredo di Giuseppe Varano, in possesso della giusta voce, ma non dell'adeguato spessore, né dei necessari colori, né di un minimo di personaggio.

Simone Piazzola è invece un Germont di assoluto rilievo. Il suo miglioramento nel giro di pochi anni è davvero sorprendente, poiché è chiaro quanto il ruolo sia cresciuto a stretto contatto con la sua maturazione vocale. Il fraseggio è davvero espressivo ed interessante, in perfetto accordo con l'interpretazione, veritiera, realistica e notevolmente intensa. L'uso dei colori è veramente importante e ben amalgamato all'omogenea linea di canto, squillante negli acuti e solida nei gravi. Una nota di particolare encomio va all'esecuzione della cadenza "ma se alfin ti trovo ancor".

Buona è la prova di Milena Josipovic nei panni di una Flora molto efficace, come pure Valdis Jansons e Daniele Cusari nei ruoli del marchese e del dottore. Soddisfacente l'Annina di Paola Cantucci. Deludenti Stefano Consolini, Matteo Ferrara, Marco Gaspari e Stefano Cescatti nelle rispettive parti di Gastone, Douphol, Giuseppe e il commissionario.

Il Coro Lirico Amadeus guidato da Stefano Colò non è certamente quello del Teatro Municipale di Piacenza e si sente la differenza.
Decisamente fuori dall'ordinario è la bellissima coreografia di Monica Casadei durante i cori delle zingare e dei mattadori.
Assolutamente bravissimi i ballerini professionisti Sara Cuccioli e Vittorio Coltella, intensi nell'interpretazione, eleganti nella postura, precisi nell'esecuzione.

 
 
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