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Recensione dell'opera Aida presso il Magnani di Fidenza

guglielmo novalis, 04/12/2012

In breve:
La musica parla con una lingua, ma in molti dialetti ( Robert Fripp)


Nel momento in cui mi posiziono nel mio palco ammiro quella bomboniera di teatro che possiedono a Fidenza. Non vi ero mai stato, e devo dire che l'ho trovato un bellissimo scenario.
Uno pensa ad Aida e indiscutibilmente va con la fantasia a un teatro all'aperto, masse di figuranti accalcate in maniera geometrica durante la scena del trionfo e cose di questo tipo. Un teatro piccino come quello di Fidenza esige un'altra Aida. Non dramma pubblico, ma vicenda privata. Il trionfo? Risolto col quella sorta di sotterfugio zeffirelliano di far salutare con le spalle rivolte al pubblico tutti i coristi alias popolo egiziano. Che poi oltre di loro il trionfo non ci sia a me importa poco. A teatro, non so che ne pensino tutti gli altri, un'idea vale più di mille arazzi scintillanti. A Fidenza le idee ci sono state. Purtroppo i mezzi non hanno potuto sempre esplicitarne del tutto la realizzazione (sia scenica che vocale), ma io apprezzo i tentativi di questa sorta di sottobosco dell'opera che nonostante crisi e moria non si arrende e produce.
 
Quindi al di là del fatto che il Maestro Stefano Giaroli non sia raffinatissimo, è comunque vincente la sua idea dell'opera che alla fine entusiasma e convince, guidando l'orchestra filarmonica delle terre verdiane con piglio e carisma. La regia è stata di quelle statiche e monumentali, che non è nulla di nuovo, l'idea degli specchi inclinati per supplire alle ristrettezze del palcoscenico si è poi rivelata riuscita non del tutto, ma a far salire le quotazione di questa regia ci sono stati i costumi  di Artemio Cabassi, davvero di una bellezza ammirevole, soprattutto quelli di Aida e Amenris. Il cast vocale ha affrontato le difficoltà di una produzione con pochissime prove e imbastita in pochi giorni (così mi è stato riferito) davvero con molta sicurezza e in alcuni casi sfoggiando interpretazioni eccellenti.
 
L'Aida di Olga Romanko ha convinto e commosso. La voce ogni tanto soffre, nel senso che nonostante la tecnicità e il temperamento dell'interprete si sente che ormai è una voce in declino ma momenti di autentica estasi sono stati creati nella seconda aria, e devo dire che la signora Romanko è stata in assoluto la trionfatrice della serata. Amenris era Cristina Melis, voce davvero morbida, interprete raffinata e graffiante quando le circostanze lo esigevano. A Fidenza non ho mai percepito fatica o zone dove la signora non si udisse o si avesse la percezione di una voce troppo piccola per il ruolo interpretato, ma Fidenza è una piazza piccola, e io penso che la signora Melis, nonostante la sua Amenris sia priva di pecche, avrebbe maggior comodità in un repertorio meno drammatico. Personalmente la sua voce mi ha ricordato enormemente quella di Sonia Ganassi, ma ovviamente la mia è un'opinione personalissima.
 
Amonasro era Marzio Giossi, scenicamente davvero molto convincente; il Re etiope è stato tratteggiato in maniera cruda e priva di sentimentalismi, che è la via sicura per rendere il padre di Aida coerente e definito nonostante sia presente molto poco in scena ma comunque determini l'evolversi della vicenda verso la tragedia finale. La voce di Giossi non mi ha mai fatto impazzire, ma è un professionista serio, musicista sensibile (anche se qui l'ha mostrato poco per rendere la barbarie di Amonasro) e interprete di calibro.
 
Antonino Interisano era Radames, e purtroppo non lo era affatto allo stesso tempo. La voce ha un settore acuto incredibile, nonostante a volte lui faccia di tutto per impedirlo, ma i centri sono da sistemare. Peccano d'intonazione e risultano spesso pieni di aria e poco timbrati. Vi è un fatto tecnico che va sistemato, e devo dire che sistemato quello, questo tenore ha una fulgida carriera davanti a sé, ma non come Radames. Alfredo, il Duca di Mantova, Nemorino per esempio.Questi sono ruoli che affiderei a una voce con quello squillo. Radames no. Speriamo che questo tenore possa indirizzarsi a un buon insegnante e magari qualcuno lo consigli a fare un cambio di rotta.
 
Franco Lufi è stato un Ramfis di statura ragguardevole e di indiscutibile valore, il Re di Massimiliano Catellani si è fatto valere con una voce di tutto rispetto. Completavano poi il cast il messaggero di Eugenio Masino, corretto, e la Sacerdotessa di Paola Rovellini, un po' imbarazzante invece.
 
Il coro diretto da Emiliano Esposito è stato sempre corretto e puntuale, le coreografie di Costanza Chiapponi gradevoli e mai fuori contesto.
Grande successo di pubblico e ovazioni per i protagonisti.
 
 
 

 

 
 
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