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Recensione dell'opera Macbeth di Giuseppe Verdi dal Carlo Felice di Genova

William Fratti, 17/02/2013

In breve:
Dopo avere inaugurato la Stagione 2012-2013 con Don Giovanni, il Teatro Carlo Felice di Genova apre il Bicentenario Verdiano con una delle opere più amate dallo stesso compositore, che dedicò lo spartito all'adorato suocero, Antonio Barezzi.


Macbeth è da sempre stata considerata un'opera sperimentale e ciò lo si nota se si analizzano musicalmente e scenicamente alcune pagine, come “Mi si affaccia un pugnal” o l'intero terzo atto. Il melodramma composto nel 1847 fu rivisitato per l'edizione francese del 1865 ed oggi si tende ad eseguire la musica della seconda versione con testo in italiano. In questa specifica occasione sono tagliati sia il coro e ballabile “Ondine e Silfidi” del '47, sia il balletto del '65.
 
Lo spettacolo di Henning Brockhaus è ormai datato e se poteva avere un certo ché di innovativo negli anni '90, ora pare solamente polveroso. È importante per i teatri, a causa della crisi economica, riprendere e rimettere in scena i vecchi allestimenti, ma occorre focalizzare l'attenzione sulle scelte di regia, che necessitano sempre di essere rimesse a nuovo. Il gioco delle apparizioni, soprattutto in secondo e terzo atto, ha ancora un suo valore intrinseco, ma trattandosi di qualcosa di già visto e rivisto, non riesce a reggere lo spettacolo, non essendo supportato da una sufficiente drammaturgia su protagonisti e coro, poiché solo la Lady e le streghe compiono delle azioni specifiche. Tutto il resto è pressoché fermo in scena. Inoltre è sempre molto fastidioso assistere agli incantesimi senza la pentola.
 
La direzione musicale di Andrea Battistoni è abbastanza buona, non eccellente nella ricerca dei colori, ma intensa nella lettura drammatica ed il primo concertato risulta essere davvero emozionante. Un'altra nota positiva sta nel giusto impiego dell'impeto del giovane Verdi che, soprattutto in questo lavoro, è più improntato all'effetto teatrale piuttosto che alla melodia; ma vanno rilevate un paio di pericolose imprecisioni nei cori “S'allontanarono!” e “Salve, o re!”, che quasi sembrano uscire di tempo, ma non si capisce se l'errore arriva dalla direzione o dal coro stesso.
 
George Gagnidze è un bravo cantante, ma non nel ruolo di Macbeth, che lo schiaccia con tutta la sua imponenza. Il baritono non possiede lo spessore, l'autorevolezza e l'esperienza tali da permettergli di risolvere egregiamente il difficile personaggio. Forse avrebbe sortito un miglior effetto su un palcoscenico più provinciale, o sotto la guida di un altro regista, tant'è che si nota molto chiaramente la differenza con la sua collega.
 
Maria Guleghina non ha più la morbidezza e la brillantezza vocale degli anni '90, ma nelle sue vene scorre indubbiamente il sangue verdiano. La resa del personaggio ed il fraseggio sono ineguagliabili e l'emozione che trasmette fa venire la pelle d'oca non appena apre bocca con “Ambizioso spirto”. È un vero peccato che “Nel dì della vittoria” sia registrato.
 
A tale proposito è doveroso citare una lettera scritta da Verdi a Cammarano quando stava allestendo Macbeth a Napoli, un anno dopo la prima fiorentina: “So che state concertando il Macbeth, e siccome è un'Opera a cui m'interesso più che alle altre, così permettete che ve ne dica alcune parole. Si è data alla Tadolini la parte di Lady Macbeth, ed io resto sorpreso come Ella abbia accondisceso fare questa parte. Voi sapete quanta stima ho della Tadolini, ed Ella stessa lo sa; ma nell'interesse comune io credo necessario farvi alcune riflessioni. La Tedolini ha troppe grandi qualità per fare quella parte! Vi parrà questo un assurdo forse!!... La Tedolini ha una figura bella e buona, ed io vorrei Lady Macbeth brutta e cattiva. La Tedolini canta alla perfezione; ed io vorrei che Lady non cantasse. La Tedolini ha una voce stupenda, chiara, limpida, potente; ed io vorrei in Lady una voce aspra, soffocata, cupa. La voce della Tedolini ha dell'angelico; la voce di Lady vorrei che avesse del diabolico. […] Avvertite che i pezzi principali dell'Opera sono due: il Duetto fra Lady ed il marito ed il Sonnambulismo: Se questi pezzi si perdono, l'Opera è a terra: e questi pezzi non si devono assolutamente cantare: bisogna agirli e declamarli / con voce ben cupa / e velata: senza di ciò non / vi può essere effetto. / L'orchestra colle sordine […]”.
 
Roberto Scandiuzzi è sempre un grande artista, dotato di ottimo spessore, presenza scenica ed egregia resa vocale, ma in questa occasione sembra un poco svogliato.
 
Rubens Pelizzari, come già notato di recente, tende ad arretrare gli acuti e ciò non rende giustizia alla sua bella voce naturale. È un errore tecnico molto assiduo per i tenori che frequentano il repertorio lirico più spinto, ma deve essere assolutamente risolto.
 
Efficaci i ruoli comprimari di Sara Cappellini Maggiore, Vincenzo Costanzo, Francesco Verna, Alessandro Pastorino, Roberto Conti, Giampiero Barattero.
Buona la prova del Coro del Teatro Carlo Felice diretto da Patrizia Priarone 

 
 
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