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Recensione dell'opera Macbeth di Giuseppe Verdi dal Teatro della Pergola di Firenze

William Fratti, 26/06/2013

In breve:
Un trionfo sinceramente meritato quello di Macbeth al Teatro della Pergola di Firenze, eseguito nella sua forma originale e sul palcoscenico dove è stato concepito nel 1847 da un giovane Verdi, al suo primo incontro col teatro shakespeariano.


È un errore sostenere che la versione successivamente ideata per Parigi nel 1865 sia quella definitiva; semplicemente si tratta di due opere differenti, pensate per teatri diversi, con tradizioni e convenzioni lontane tra loro, con protagonisti dalle vocalità non propriamente identiche. Un enorme ringraziamento va al Maggio Musicale Fiorentino che ha voluto riproporre il melodramma primigenio per l'occasione dei festeggiamenti del Bicentenario Verdiano: il pubblico ha potuto riscoprire una musica e un canto che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti ai più.

E sinceramente, avendo a disposizione un protagonista con la voce e il temperamento di Luca Salsi, questo Macbeth è decisamente più interessante di quello parigino: il ruolo è molto più lungo, corposo e dalla tessitura più acuta in alcuni punti. Il baritono parmense ha Verdi nel sangue e sa fraseggiare a accentare come conviene al canto del compositore bussetano. Emozionantissimo è “Sangue a me” nel finale secondo; intensa ed adrenalinica la cabaletta a conclusione del terzo atto. La voce dell'artista è fresca e musicale, lo squillo è luminoso e potente, l'attenzione al suono e alla parola sono di primo ordine.

Tatiana Serjan, in possesso di una voce particolarissima che si adatta perfettamente al ruolo della perfida Lady, si presenta al pubblico con una cavatina strepitosa: ogni nota è ben salda e appoggiata; i gravi sono corposi e gli acuti solidi e ben incanalati; l'accento drammatico è vigoroso ma sapientemente misurato; le agilità sono ben impostate anche dove i numerosi staccati potrebbero creare difficoltà; i piani sono sostenuti da un'ottima tecnica sui fiati; il canto spianato è lirico ed omogeneo.

Marco Spotti è un Banco diverso dal solito ed è un vero piacere sentire la sua voce da Grande Inquisitore in un ruolo generalmente affidato a vocalità più cantabili. La sua robustezza e i suoi accenti gravi, che sanno salire al registro acuto con estremo agio e facilità, danno un nuovo sapore al personaggio, a cui vanno aggiunti un fraseggio particolarmente espressivo e un'eccellente interpretazione, anche nella successiva apparizione.

Saimir Pirgu è un Macduff corretto, dotato di bella voce squillante, musicale ed elegante, con solo qualche piccola mancanza dell'intenzione drammatica, poco sentita e trasmessa.

Ben adeguati ed efficaci i ruoli comprimari, primi fra tutti il Malcolm di Antonio Corianò e il medico di Gianluca Margheri. Seguono Elena Borin (Dama della Lady), Alessandro Calamai (Un domestico), Carlo Di Cristoforo (Un sicario), Giovanni Mazzei (Prima apparizione), Sara Sayad Nik (Seconda apparizione), Lorenzo Carrieri (Terza apparizione).

La direzione di James Conlon, alla guida della brava Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, è davvero entusiastica e ciò lo si nota fin dal preludio. I suoni sono sempre puliti e precisi, le sfumature e i colori sono interessanti e  centrati, il dialogo tra buca e palcoscenico è sempre presente ed in diretto contatto con la platea e ciò contribuisce a creare un clima di naturale perfezione, dove ogni cosa è al posto giusto. Magicamente emozionante è il concertato del finale primo. Intelligente è la scelta di utilizzare un organico orchestrale ridotto; tre gruppi di sei per le streghe, proprio secondo l'indicazione verdiana; come pure l'esecuzione di tutti i da capo, ad eccezione di uno soltanto.

Molto buona è la prova musicale del Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretto da Lorenzo Fratini; eccellente è l'interpretazione delle streghe, soprattutto per la capacità individuale di ognuna di recitare una parte differente e difficile, senza paura di mettersi in mostra in primo piano.

Lo spettacolo di Graham Vick, appositamente creato per la Pergola, è straordinario sotto ogni punto di vista: estremamente contemporaneo, ma altamente filologico (manca solo “quella sordida barba”); moderno nella concezione drammatica – a testimonianza dell'intramontabilità sia dell'opera shakespeariana sia di quella verdiana – e nell'impianto, in grado di passare da una scena all'altra con continuità e senza interruzioni. La regia, nei movimenti, nei gesti e negli sguardi è precisissima e tutto ha un senso. Ogni cosa, anche ciò che è apparentemente isolato, ha un significato, che lungo il procedere della vicenda è svelato e indi compreso. Lo sviluppo drammaturgico è così fluido che in alcuni punti sembra di assistere ad un serial televisivo.

Eccellenti le scene e i costumi – belli e funzionali – di Stuart Nunn; incredibilmente azzeccate le luci di Giuseppe Di Iorio, che ha saputo rendere ogni diversa situazione col solo uso del bianco. Adeguata la coreografia di Ron Howell. Un solo appunto: sarebbe stato indubbiamente più elegante eliminare ogni accenno sessuale nella recitazione delle streghe (peraltro fortunatamente sporadici e velati), soprattutto perché inutili alla rappresentazione.

Lunghi, calorosi e scroscianti applausi, accompagnati da urla ed acclamazioni, hanno accolto tutti gli artisti. Peccato che la piccola sala evidenziasse alcuni posti vuoti.

 
 
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