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«Casta diva»: anche questo è made in Italy...

Redazione Liricamente, 17/06/2009

In breve:
Da alcuni mesi è "scoppiato" lo scandalo della "casta" dei teatri lirici, quindi, vogliamo anche noi aprire un dibattito su questo tema perchè, siamo sicuri, il confronto con i nostri lettori potrà fornire degli spunti interessanti per trovare soluzioni a problemi tanto spinosi!


L'Italia, si sa, è la patria dell'opera lirica: giungono ogni anno milioni di turisti da tutto il mondo per venire a visitare i luoghi natali di Verdi, Puccini, Rossini, Donizetti e ancor più ad ascoltare nei tempi della lirica, quali i nostri teatri di tradizione, quella musica che da secoli appaga l'anima di una moltitudine di appassionati e non. Ma non solo: la lirica è uno dei grandi «marchi» della cultura italiana, dato che il nostro melodramma (La Traviata, La Bohème, Aida, Turandot, etc.) è tra gli appuntamenti più appealing di tutti i cartelloni mondiali, da New York a Tokyo, da Vienna a Parigi.

Purtroppo, però, da alcuni mesi è "scoppiato" lo scandalo della "casta" dei teatri lirici, quindi, vogliamo anche noi aprire un dibattito su questo tema perchè, siamo sicuri, il confronto con i nostri lettori potrà fornire degli spunti interessanti per trovare soluzioni a problemi tanto spinosi!

E' nota da mesi l'inchiesta in corso sulle 13 fondazioni finanziate ogni anno dallo Stato: si aggirano intorno a 300 milioni di euro pubblici i fondi che pagano l'esercito di 6mila dipendenti. I conti sono in rosso quasi ovunque: 3 teatri su 13 commissariati (Roma, Napoli, Genova), due altri salvati per miracolo dal commissariamento (Verona e Bologna), un altro uscito da poco dalla stessa emergenza (Firenze). Lo Stato sorregge questo sistema poco virtuoso, anche se i finanziamenti tendono a ridursi. Le fondazioni liriche sono le più assistite: da sole assorbono quasi la metà del Fus, il fondo statale per lo spettacolo. Nel 2008 i contributi totali assegnati dal Ministero sono stati di 269 milioni di euro, cui vanno aggiunti gli aiuti degli enti locali da Regioni, Province, Comuni... per un totale che supera abbondantemente i 300 milioni di euro.

Nonostante questi ingenti finanziamenti, è un sistema che va avanti a fatica, con troppo personale, dato che gran parte del finanziamento statale finisce in buste paga, lasciando l'esiguo resto alla musica: in media il personale assorbe il 70% della spesa, quindi solo il 30% spetta alla produzione.

Nel 2007 il costo del personale (dati ministeriali) è stato di oltre 343 milioni di euro, più dell'intero ammontare del contributo ministeriale. 

I cachet degli artisti ingaggiati per ogni produzione (registi, cantanti, musicisti) alla fine non sono quelli che incidono di più.
Il costo medio a recita varia dai 109mila euro dell'Arena di Verona ai 50mila euro del Comunale di Bologna. I vip della lirica, spesso accusati di essere costose primedonne, in realtà sono solo i capri espiatori di un sistema che occulta i veri "falchi" della lirica, cioè gli agenti. Infatti, va detto che, pur avendo numerosi dirigenti, sovrintendenti e consiglieri di amministrazione, pagati per decidere le stagioni e costruire i cartelloni, spesso i teatri si affidano a intermediari (appunto gli agenti teatrali, pochi e ben ammanicati) per ingaggiare compagnie e artisti, facendo così inevitabilmente lievitare i costi dello spettacolo.

Anche nel caso dei teatri lirici, come per quelli di prosa, il sistema di finanziamento pubblico è quasi del tutto slegato da logiche meritocratiche, infatti poco conta la qualità della produzione, perchè il grosso del finanziamento viene stabilito solo con criteri quantitativi: si valuta la serie storica dei contributi (quanti soldi ha ricevuto nell'ultimo triennio, per cui chi ne ha ricevuti di più ne riceverà di più) e dei costi (con la conseguenza pericolosa che chi più spende, in stipendi del personale, più incassa...).

Oltretutto, c'è un altro retaggio storico, che l'economista Giuseppe Pennisi ha ben fatto notare in un dossier sulla lirica pubblicato dall'Istituto Bruno Leoni, e che pesa ancora sulle fondazioni liriche: nascono da enti su base comunale dove si poteva assumere a tempo indeterminato, mentre altrove si dovevano fare concorsi. Così si convogliavano verso questi enti persone che si volevano collocare anche solo per ragioni di contiguità partitica.

In condizioni simili, quanti sono i privati che decidono di sostenere le attuali fondazioni liriche che hanno preso il post degli ex teatri lirici (ex carrozzoni comunali)? E anche ipotizzando che ci sia qualche "pazzo" disposto ad investire, qual è il livello di produttività si prospetta?

Nel 2007 la Scala ha fatto 107 recite d'opera, Il San Carlo di Napoli 51, Il Carlo Felice di Genova, 56, Il Comunale di Bologna 59... Allo Staatsoper di Vienna, al contrario, si canta quasi ogni sera, 356 volte l'anno, all'Opera di Parigi 360 (in Francia i dipendenti sono stipendiati dallo Stato). Da noi le recite sono poche, finanziate dallo Stato ed hanno un costo che supera di gran lunga quello estero, come dimostra l'economista Roberto Perotti: al Metropolitan di New York (che non ha aiuti pubblici) una serata costa meno che alla Scala.

Per quale motivo esiste una produttività tanto scarsa? Bisogna ammettere che i dipendenti dei nostri teatri godono di enormi privilegi: si pensi per esempio agli orchestrali la cui settimana lavorativa è fatta di giornate da 5 ore (e oltre 14 mensilità), quanto basta per garantirsi serenamente un secondo o terzo lavoro fuori dal golfo mistico. Anzi, il secondo o terzo lavoro sono garantiti dalla stessa legge del 1996 che ha istituito le fondazioni e che «legittima» il secondo lavoro. Prendono il nome di «corpi artistici separati», cioè l'orchestra di un teatro può suonare (e farsi pagare) altrove senza che il teatro (che pure gli paga lo stipendio) possa eccepire nulla. Si aggiungano poi gli integrativi, contratti paralleli che regolano premi per le trasferte, bonus per le dirette radio e tv, vari altri incentivi che insieme permettono ai dipendenti di portarsi a casa fino al 40% in più dello stipendio.

Molti di questi privilegiati dipendenti svolgono anche l'attività da libero professionista oppure spesso percepiscono un secondo stipendio pubblico "insegnando" nei conservatori a scapito degli allievi che devono adattare le lezioni agli "impegni artistici" dei loro insegnanti.

Aggiungiamo poi che, insoddisfatti di questi privilegi, capita spesso ultimamente che facciano saltare le recite in cartellone per protesta.

Per contro, ci sono tanti cantanti che ad oggi non trovano lavoro perchè si riduce il numero delle produzioni.

Vien proprio da dire che è una Casta composta da divi ben poco virtuosi!!!

E' evidente che questo sistema sta rovinando la lirica e di sicuro non contribuisce alla diffusione della cultura, dato che anzichè aumentare la produttività si riduce il numero degli spettacoli!

 
 
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