Torniamo al periodo in cui studiavo alacremente per audizioni e concorsi 
vari, nella speranza di aprirmi un varco nel mondo della lirica; ricordo quel 
pomeriggio estivo ma più che il fatto in sé, ricordo gli stati d'animo ancora 
vivi ed il disagio che si prova quando ci si pone davanti a qualcuno per essere 
“giudicato”. 
Eravamo quattro giovani di belle speranze a produrci in questa audizione che 
avrebbe dovuto svolgersi nell'intervallo tra la prova pomeridiana e quella 
serale di uno dei teatri più famosi d'Italia. 
La nostra comune insegnante ci aveva accompagnato, trepidante anche lei per 
l'avvenimento, sedevamo in platea come una chioccia coi suoi pulcini, aspettando 
di essere chiamati in palcoscenico sul quale era stato posto un pianoforte 
verticale. 
Sparsi per l'ampia platea, i Coristi (così si chiamavano allora senza offesa) 
consumavano il loro panino prima di riprendere le prove.  
In fondo alla platea, nel punto più lontano dal palcoscenico, era posizionata la Direzione 
Artistica che avrebbe ascoltato e… giudicato i candidati. 
Ecco, il maestro sostituto si accomoda al pianoforte… il silenzio attanaglia i 
presenti. 
Primi sintomi di nervosismo, poi una voce dice ”Cominciamo”. 
Ad uno ad uno, i miei tre compagni ed io, ci avvicendiamo per cantare la nostra 
romanza.  
Il tenore cantò l'aria “E lucevan le stelle”, indi io mi produssi in una 
scoppiettante aria rossiniana (dicevano che l'anno dopo avrebbero allestito 
La Sonnambula… risultato poi essere un falso allarme), le altre mie compagne 
di studi una in un'aria di Oscar di Un ballo in maschera, l'altra 
in Vissi d'arte dalla Tosca. 
Eravamo tutti abbastanza soddisfatti delle nostre prestazioni (tranne Oscar 
che diceva di aver sentito poco il pianoforte) ma tutti e quattro notammo che la 
nostra insegnante era sparita; pensammo si fosse recata dalla commissione per 
aver qualche parere… girammo lo sguardo verso il fondo della platea… no, loro 
erano ancora lì seduti come in attesa, il pianista era ancora al suo posto di 
battaglia ed ecco… dopo qualche minuto e tra lo stupore generale, la nostra 
insegnante attraversare goffamente il palcoscenico con in mano uno spartito, 
consegnarlo all'accompagnatore, aggiustarsi l'abito. 
 La prima nota di “Suicidio”dalla Gioconda. 
Silenzio di gelo tutt'intorno e la voce potente e brunita della Signora, un 
tempo ottima cantante di ottimo livello, che si diffondeva tutt'intorno, bella 
senz'altro anche se minata dall'usura impietosa del tempo; vibrante ed 
espressiva come certamente noi non eravamo in grado di produrre. 
Terribile e toccante l'ultima frase “Dentro l'avel” (al solo ricordo, la pelle 
mi si accappona ancora).  
Fine. 
Con un sorriso forzato la Signora conclude l'esibizione e si accinge a 
riprendere il suo spartito, mentre i coristi ci si avvicinano beffardi chiedendo 
”Ma non è la vostra insegnante quella?” ed anche “È lei che presenta 
voi, o voi che portate lei?” e ancora ”Se vuol cantare lei, col cavolo 
che aiuterà voi!”. 
Noi eravamo confusi, i miei colleghi continuavano a rispondere che non ne 
sapevamo niente, che eravamo sorpresi quanto loro.  
Erano offesi, si sentivano quasi usati. 
Fui l'unica ad aver il coraggio di chiederle ”Come mai, Signora, non ce 
l'aveva detto?” e lei imbarazzatissima ”Non doveva saperlo nessuno. 
Volevo che fosse una cosa privata”. 
Non ne parlammo più. Certo è che i miei compagni persero completamente la 
fiducia in quella persona che avevamo sperato almeno più leale nei nostri 
confronti. 
La mia reazione?  
Pietà. 
Mortificata nell'anima non feci che chiedermi ”Fino a quando si ha diritto 
ad avere un sogno nel cassetto tanto forte da vincere sulla dignità?”  |