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Il Mecenate, secondo capitolo di "La Sola Speme"

guglielmo novalis, 11/03/2013

In breve:
Ecco il secondo capitolo del nuovo libro di Guglielmo Novalis La Sola Speme. Incontro del Cigno di Busseto con colui che ne diverrà lo scopritore artistico.
Vai al Primo capitolo "La Spinetta"


Se ti sei perso il primo capito, lo puoi leggere al seguente link: "La Spinetta"

Carlo varcò la soglia di quel salone lussuoso e fissò il soffitto con estrema soggezione. La casa di Barezzi era l'emblema del lusso. Tutt'intorno a lui nell'atrio c'erano marmi lucenti, specchi, dorature, elaborati intagli e pavimenti intarsiati. Gli arredi erano di squisita eleganza mentre quel paio di sgabelli, posti vicino alla specchiera dell'entrata, ostentavano trame multicolori di nappine e rasi. Chissà al piano superiore cosa poteva possedere, vista soltanto l'eleganza dell'atrio. Di solito si recava da lui con le sue ceste di vimini da riempire con della merce al suo magazzino, poco lontano dalla casa padronale, ma quel giorno la questione per cui necessitava del ricco filantropo era ben differente. Nessun altro a Busseto era più adatto di Barezzi per capire chi fosse talentuoso e chi non lo fosse in fatto di musica. Oltre a essere un bravo dilettante strumentista aveva offerto la sua residenza come sede della società filarmonica, e quindi, si poteva dire, che fosse la personalità più di spicco  a  Busseto per certe questioni.

La sera quando Giuseppe si metteva a strimpellare con la sua spinetta Luigia cominciava a ridere come faceva un tempo, i suoi occhi baluginavano come quando era ragazza; si sentiva rinfrancato dall'effetto ristoratore che aveva avuto su sua moglie la musica di Giuseppe.

Il Baistrocchi lo aveva preso da parte una domenica, dopo la messa, e gli aveva detto che non sapeva più cosa insegnare a suo figlio. Giuseppe aveva un dono, e bisognava che lui lo facesse sentire a qualcuno che di musica se ne intendesse più di lui. Carlo si era grattato il capo pensieroso: a chi mai avrebbe potuto far ascoltare Giuseppe? Poi una mattina notò le bottiglie di liquore che teneva nel suo disimpegno dietro il bancone, e in quel momento aveva avuto l'illuminazione. Barezzi! Di sicuro lui avrebbe potuto inserire suo figlio e farlo studiare con un grande maestro se avesse ritenuto che effettivamente in Giuseppe ci fosse dell'ingegno per la musica.

Il soggetto delle sue riflessioni apparve sulle scale, interrompendo così i suoi pensieri. La sua figura era slanciata e magra, e possedeva un portamento davvero elegante. 

- Salve Carlo – fece con voce gioviale scendendo gli ultimi scalini,  brandendo con la mano sinistra il corrimano di legno chiaro e stuzzicandosi con l'altra i suoi bei baffi color cenere. Gli occhi possedevano il brillo dei fanciulli, quello che avevano tutte le persone curiose che Carlo aveva conosciuto nella sua vita, e aveva mani lisce e candide, con dita affusolate e unghie sempre corte e ben definite. Mani da donna, ma che denotavano anche che cura il signor Barezzi avesse della propria persona.

 - Signor Antonio ha un minuto?-  Barezzi gli sorrise: - anche due.-

 - Oggi son venuto a prendere alcuni dei vostri liquori che della gente di Roncole mi ha ordinato, ma soprattutto a parlarvi del mio figliolo.-

 - Giuseppe? Come sta? Ora dovrebbe avere all'incirca l'età della mia Margherita.-

 - Ha undici anni.-

 - Crescono che non ce ne accorgiamo- sorrise Barezzi.

 - Giuseppe è bravo a suonar l'organo, l'organista di Roncole gli ha dato lezioni fino ad ora, ma è venuto a dirmi che non sa più cosa insegnargli, e che dovrei farlo studiare con  qualcuno più qualificato di lui.-

Barezzi alzò le sue sopracciglia stupito. - Baistrocchi è bravo.-

 - Io queste cose non le so signor Antonio, so quello che dice Giuseppe, e lui dice che è stato un bravo maestro, poi mi piace la musica che scrive mio figlio ma...-

 - Compone?- Esclamò  Barezzi con curiosità.

 - Si, scrive musica, le suona la sera per me e mia moglie. Io vorrei che lo ascoltaste, voi potete dirmi se son nostre fantasie da contadini- esclamò infine tenendo stretto fra le mani il suo berretto con atteggiamento umile.

 - Lo ascolterò molto volentieri Carlo, venite da me quando potete, anche domani se siete a Busseto per affari.-

 - Davvero domani?-

 - Si domani, poi, una volta che l'avrò ascoltato io, lo farò sentire da Provesi che dirige qui i musici di Busseto.-

 - Grazie signor Antonio.-

 - Ditegli Carlo che però voglio sentire una cosa sua.-

 - Certo, certo, se per voi va bene saremo qui nel pomeriggio tardo, chiudo l'osteria presto e ve lo porto qua.-

 - Va bene Carlo, a domani.-

 

Giuseppe entrò nel salone e gli parve di essere giunto nella fortezza di un nobile russo. Aveva sempre immaginato che un tale lusso potesse essere posseduto solo dagli stranieri. Venne ad aprire un uomo di servizio, un uomo curvo su sé stesso, con una brutta gobba. Suo padre sorrise subito e gli sussurrò: - la gobba di quest'uomo ci porterà fortuna.- Giuseppe sospirò. La fortuna gliel'avrebbero portata le sue mani se fosse riuscito a non farsi prendere dal panico. Ma quell'uomo gli ispirò qualcosa di strano: vecchio, curvo, servitore di un uomo ricco. Era una figura patetica. Appena sarebbe tornato a casa ci avrebbe scritto una ballata. Poi i suoi occhi furono investiti dalla figura quasi luminescente di una ragazzina vestita con un abito dal colore perlaceo e dalla folta chioma corvina. Gli occhi della bambina, all'incirca della sua stessa età, erano smeraldini, e lo stavano scrutando con vivida curiosità. Alle sue spalle un uomo vestito con un completo color vinaccia e due baffi eleganti fece la sua comparsa. Gli occhi erano uguali a quelli della ragazzina, anche se contornati da una fitta ragnatela di rughe.

 - Eccolo qui il nostro giovane compositore.- La voce dell'uomo era estremamente giovanile, somigliava a quella di un fanciullo.

 - Ecco, questo è Giuseppe- fece suo padre mettendogli una delle sue manone sulla spalla.

 - Benissimo, oggi Margherita ascolteremo questo ragazzo che compone musica e ha la tua età- disse Barezzi con dolcezza a sua figlia, lei annuì inclinando il capo in maniera soave e civettuola, distogliendo gli occhi da Giuseppe.

 - Giuseppe- gli fece Barezzi – tuo padre mi ha detto che componi, e il tuo maestro parla molto bene di te.-

 - Grazie per avermi dato l'opportunità di farmi ascoltare signor Barezzi.-

 - Vieni ragazzo, vieni che andiamo in salotto, dove c'è il pianoforte.- La sua voce gli parve calma e placida, come il suono dei giunchi in riva al fiume. 

Giuseppe e Carlo seguirono il padrone di casa avviarsi in un piccolo corridoio, poi varcarono la soglia di una stanza dal pavimento di marmo rossastro e dal soffitto bianco, mentre le pareti erano coperte da carta da parati bluastra arricchita da motivi di fantasia; esattamente di fronte all'entrata della stanza era appeso uno splendido quadro raffigurante un bosco investito dalla luce del tramonto. Al centro della sala troneggiava un magnifico pianoforte a coda, e a Giuseppe parve una persona in carne ed ossa. Gli sorrideva in modo insidioso, e sembrava perfino aguzzare i suoi occhi invisibili scorgendo il figlio dell'oste di Roncole che era dritto come un fuso di fronte a lui. Il signor pianoforte sprezzante gli stava sussurrando frasi di sfida. “Vedremo se mi saprai adoperare come si deve ragazzino”.

Giuseppe sospirò e si sedette davanti alla sua tastiera. Appoggiò la sua mano estesa e ruvida su quei tasti lisci e bianchi come la pelle di una diva dell'opera e fissò il nero lucido dei tasti più piccoli, quelli più infimi e difficili da premere in velocità. Il pianoforte, anche se lui poteva toccarlo nelle sue parti, non si sciolse, continuava a fissarlo con vivida diffidenza. Barezzi si era accomodato  con in braccio sua figlia su una poltroncina di velluto color oliva di fianco alla finestra, mentre suo padre era rimasto all'entrata del salone, appoggiato allo stipite della porta, con il berretto stritolato fra le mani. 

L'uomo curvo si mise vicino a suo padre e a un certo punto incrociò le braccia. Aveva sulle labbra quel sorrisino beffardo tipico di quelli che servivano nelle case dei benestanti, sembrava volergli dire “tu sei come me, il padrone ti fa sedere al pianoforte, ma alla fine finirai a lavorare come me anche tu.” Maledizione all'uomo curvo e al suo sguardo scettico quasi quanto quello del pianoforte.

Strinse i pugni sulle ginocchia, poi volse lo sguardo verso Barezzi, e fu inondato da quella luce grigiastra che sembrava quella del cielo nuvoloso appena prima di squarciarsi e di aprirsi per offrire il sole estivo. Stiracchiò le dita e le posò di nuovo sul pianoforte.

Iniziò.

Con foga, aggressività, e un poco di impazienza.

Non perdetevi il prossimo capitolo che trovate al seguente link: "Il Maestro di Musica"

 
 
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