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La Spinetta

guglielmo novalis, 28/01/2013

In breve:
Nell'anno verdiamo vi proponiamo mese dopo mese alcuni estratti di uno splendido romanzo che uscirà ufficialmente il giorno del compleanno di Giuseppe Verdi, il 10 ottobre. Dalla mente brillante di Guglielmo Novalis le vicissitudini del giovane Verdi, ardimentoso e spesso irruente, si intrecciano a quelle di cantanti che lo amano e che a più di due secoli di distanza, attraverso le sue opere e i suoi personaggi, tentano solcare i palcoscenici più famosi. Due epoche, due dimensioni, più cuori, ma una sola musica. E alla fine il rumore assordante degli applausi a fine spettacolo.


Giuseppe Verdi giovane Ci nutrimmo di lui come dell'aria
libera ed infinita
cui dà la terra tutti i suoi sapori.
La bellezza e la forza di sua vita,
che parve solitaria,
furon come su noi cieli canori.
Egli trasse i suoi cori
dall'imo gorgo dell'ansante folla.
Diede una voce alle speranze e ai lutti.
Pianse ed amò per tutti.
(Gabriele D'Annunzio, In Morte di Giuseppe Verdi)

Giuseppe Verdi figlio dell'oste di Roncole si avvia in modo provvidenziale verso la musica, il tragitto è tortuoso, ma una mano invisibile lo guida e nonostante rifiuti e delusioni clamorose, che formano il carattere del giovane, si ritroverà a studiare a Milano.
2013. Raffaele Tabarelli Fatis, professore di storia della musica fa lezione alla sua classe di cantanti, giovani, speranzosi, e con l'ambizione di divenire futuri divi del teatro musicale.
Così le vicissitudini del giovane Verdi, ardimentoso e spesso irruente, si intrecciano a quelle di cantanti che lo amano e che a più di due secoli di distanza, attraverso le sue opere e i suoi personaggi, tentano solcare i palcoscenici più famosi.
Giuseppe è solo un ragazzo, povero, con l'immensa fortuna di avere dalla sua un mecenate come Antonio Barezzi, ma a più di due secoli di distanza è percepito come un mito.
Due epoche, due dimensioni, più cuori, ma una sola musica.
E alla fine il rumore assordante degli applausi a fine spettacolo.

Capitolo Primo La Spinetta

Carlo bussò alla porta, sperava che non fosse troppo tardi per bussare alla porta di Cavalletti. Una donna dall'aspetto formoso e dagli occhi color mandorla aprì la porta: era la moglie del cembalaro; Carlo la riconobbe perché la vedeva sempre a messa.
- Si?-
– Sono Carlo Verdi, stavo cercando vostro marito - disse togliendosi il berretto in segno di rispetto. Cavalletti abitava a pochi passi dall'osteria, oltre il campo del Nanni, in quella casa dinoccolata e dall'aria mesta.
– Mio marito è fuori per delle commissioni, so bene chi siete Carlo, per cosa avete bisogno di lui?-
Carlo annuì. - Stamani sono andato dal Guizzo, gli ho preso quella spinetta vecchia e arrugginita per poco, per il mio ragazzo.-
La donna nel sentir nominare il ragazzino abbozzò un sorriso.

L'ultima volta che era stata a messa era quasi scoppiata a ridere vedendo la portata del ceffone che il parroco aveva assestato a quel chierichetto trasognato. Il giovane Verdi si distraeva al suono dell'organo e dimenticava di portare il calice e gli altri arnesi necessari allo svolgimento della funzione.
– Giuseppe?- Chiese con una nota di tenerezza e di simpatia nella voce.
– Ha passione per la musica - fece l'uomo con un brillio nello sguardo e l'espressione compiaciuta. La donna aguzzò i suoi due occhietti da topo: -ecco allora cosa lo distrae durante la messa.-
– Ah si - rise Carlo – l'organo.-
– Il parroco lo strattona non poco.-
– Fa bene- disse lui prontamente acquistando nella voce una sorta di autoritarismo- la messa è importante, per questo gli prendo la spinetta, così la smetterà di farsi distrarre in chiesa, e potrà suonare finché vuole- era una bugia, la comprava perché sarebbe stato utile a tutti che Giuseppe potesse suonare in casa.
– Appena mio marito torna ve lo mando.-
– Grazie Giovanna.-
– A presto Carlo.-
Carlo si rimise il berretto e si diresse a passi lenti verso casa.

Il cielo aveva iniziato a striarsi delle ombre scure della sera, e un refolo di vento faceva stormire le fronde, come una donna che si fosse passata le dita fra i capelli. Qualche foglia ancora di un verde estivo calava volteggiando al suolo. L'autunno era triste, e non riuscì a fare a meno di pensare a come quella stagione rispecchiasse l'atmosfera della sua famigliola. Quella spinetta avrebbe rappresentato tante cose, almeno così si augurava lui di tutto cuore.

Dalla passione di suo figlio a, forse, l'illuminante sorriso che sarebbe tornato a splendere sul viso di sua moglie. Da quando era morta la loro bambina Luigia era diventata più cupa della notte. Piangeva, non dormiva, aveva sempre il volto sciupato e sofferente. L'unica volta che Carlo aveva rivisto negli occhi della moglie un minimo luccichio era stato quando un mese prima avevano chiuso l'osteria presto ed erano andati a prendere Giuseppe in Chiesa, dove stava facendo ancora lezione con Baistrocchi.

Luigia aveva finito di filare e lo aveva accompagnato; era entrata, e sentendo suonare il suo bambino aveva sgranato gli occhi e il suo volto aveva assunto un colore fanciullesco. - Ma è proprio il nostro Giuseppe che suona?- Aveva esclamato con enfasi.
Carlo a quel punto si era convinto. Aveva già fatto un voto alla Madonna quando Luigia e il piccolo Giuseppe di appena un anno si erano rifugiati nel campanile di San Michele, per sfuggire all'esercito degli austriaci venuti a compiere razzie nelle campagne intorno a Roncole; le aveva promesso che avrebbe voluto e fatto il meglio per suo figlio, scampato per miracolo a quell'orda di soldati.

Così quella stessa mattina era andato dal Guizzo e aveva contrattato un prezzo per quella spinetta che lui aveva notato ai margini della sua sala tempo addietro, coperta con un lenzuolo grigiastro come se fosse stato il cadavere di un morto. - Che ne fate?- Gli aveva domandato la prima volta. - Nulla- gli aveva risposto il Guizzo alzando le spalle con una certa nota di rassegnazione nella voce – io ci suonavo, ma nessuno più la degna del minimo sguardo, la copro se no mi si impolvera.-
Meglio a casa Verdi suonata da un bambino che tenuta in un salotto come se fosse stata la reliquia di un santo incompreso.
Luigia forse avrebbe riacquistato il sorriso e il piccolo Giuseppe finalmente il suo strumento.

Cavalletti fissò la casupola dell'oste, il suo tetto umile, con pendii spioventi posati alla fronte pacata dalla quale scendeva il volto sereno. Bussò, e subito Carlo Verdi venne ad aprirgli; era un uomo alto, con due spalle molto larghe e gli occhi mansueti.
– Grazie Cavalletti di essere venuto.-
– Prego Verdi.-
– Venite - e si scansò per farlo entrare. Non appena ebbe varcato la soglia Cavalletti si sorprese di riscontrare nell'abitazione dell'oste un'oscurità quasi notturna nonostante non fossero nemmeno le tre. Alle finestre c'erano delle tende di tessuto spesso e scuro, il che conferiva all'abitazione un aspetto davvero tetro, nonostante da fuori gli fosse sembrata di tutt'altra armonia.

Verdi vedendo la sua reazione un poco scettica sulle tende scure mugugnò che a sua moglie dava fastidio la luce. Carlo Verdi a Roncole godeva di un certo prestigio, era l'oste ed era un uomo onesto, un gran lavoratore. Sapevano tutti però che sua moglie continuava a piangere e a star male dopo la dipartita della bambina, nata e poi morta dopo un paio di mesi. Madri di campagna partorivano dieci, dodici figli e ne riuscivano a far rimanere vivi sette o otto, almeno un paio morivano sempre. Era la prova della vita. Il male di vivere come quello che aveva la moglie dell'oste però era più grave. Forse era per questo che la casa era trasandata, la donna non riusciva a far fronte ai suoi doveri quotidiani. Ad un tratto gli venne incontro il ragazzino che aveva predetto la morte a Don Masini.

Giuseppe Verdi.

Al paese si era vociferato un bel po' riguardo quel fatto strano e sciagurato: dopo l'ennesima strattonata da parte del sacerdote che lo aveva ridestato dai torpori provocatogli dal suono dell'organo, il ragazzino lo aveva maledetto. Gli aveva augurato che lo colpisse un fulmine. Così era successo! Il povero Don Masini era morto colpito da un fulmine.

Il ragazzino aveva la fisionomia del padre, lo stesso profilo in fieri, un brillio quasi da rapace dentro gli occhi scuri e una linea degli zigomi scoscesa come un dirupo, ma tutta quella compattezza della sua fisionomia venne trasformata e illuminata dall'entusiasmo febbrile dalla quale era pervaso: sembrava un cucciolo che fremeva per il pasto quotidiano.

Carlo gli mostrò la spinetta.
– Cavalletti quella è l'affare.-
Il cembalaro si mise a fissare la spinetta, e provò a suonare qualcosa. Vecchia scordata e brutta. Avrebbe dovuto fare un lavoro molto lungo quel pomeriggio.
– Si può mettere a posto Verdi, non temete.-
Carlo sorrise e il figlioletto urlò dalla gioia.
– St! Giuseppe taci una buona volta- fece suo padre sopprimendo l'esplosione di gioia del ragazzino.
– Vuoi darmi una mano ragazzo?-
– Si! Si!- Fece entusiasta Giuseppe.
– Bene allora vieni qui e tienimi i ferri del mestiere, mi dirai quando la nota ti sembra intonata.-

Quel pomeriggio Giuseppe Verdi fu un aiutante solerte e prodigo di confidenze. Gli raccontò che con l'aiuto di quella spinetta avrebbe composto grandi opere e una messa per il Papa. Il padre un certo punto gli disse di smetterla, che poteva dargli fastidio, ma lui alzò la mano con un sorriso aperto sul volto. L'entusiasmo e l'energia del ragazzino erano davvero contagiosi. Quando ebbe terminato il lavoro Carlo gli offrì un bicchiere di vino e lui non lo disdegnò; a quel punto Giuseppe iniziò a suonare una musichetta dal ritmo festoso per provare il suo nuovo strumento, e il cembalaro cominciò a battere il tempo con il piede.

– E' bella questa musica Beppino- disse Cavalletti.
– E' mia- sorrise il ragazzino.
Il cembalaro si voltò di scatto e fissò Carlo: - è davvero sua? L'ha scritta lui?-
Carlo alzò le spalle: - così dice, sapete Cavalletti, io che ne posso sapere? So che mi piace, per questo gli ho comprato quella spinetta.-

Cavalletti rimase ad ascoltare il giovane Verdi fino alle sei inoltrate, poi però decise di andarsene, l'organo del paese di Busseto l'attendeva. Prese un coltellino e alzatosi espresse la volontà di incidere una dedica personale a Giuseppe. Il bambino sgranò gli occhi e si accovacciò al suo fianco per vedere cosa stesse scrivendo.
– Ecco fatto- disse alla fine alzandosi.
– Cosa avete scritto?- Chiese Carlo.
– Ve lo leggo. Da me Stefano Cavalletti fu fato di nuovo questi saltarelli e impernati a corame, e vi adatai la pedaliera che io ci ho regalato come anche gratuitamente ci ho fatto di nuovo i saltarelli, vedendo la nuova disposizione che il giovinetto Giuseppe Verdi d'imparare a suonare questo istrumento, che questo mi basta per esserne del tutto soddisfatto.-
Carlo gli chiese più volte cosa gli dovesse per il disturbo, ma lui alzò le spalle e gli rivolse un'espressione serena e solare.
– Se il ragazzo dovesse diventare qualcuno anche io così avrò dato il mio contributo.-

Non perdetevi il prossimo capitolo che trovate al seguente lin: "Il Mecenate"

 
 
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